Negli ultimi anni si è riacceso il dibattito, anche nel nostro paese, sull’energia nucleare. Lo sviluppo tecnologico che ne abbatte i costi e i rischi e la necessità di ridurre il consumo di combustibili fossili, impongono di cercare nuove fonti energetiche. D’altro canto, visti anche gli scarsi risultati ottenuti dagli enormi investimenti nelle rinnovabili, il nucleare sembra davvero l’unica alternativa valida. Ma gli ambientalisti, così come buona parte dell’opinione pubblica, sono scettici all’idea di aprire nuove centrali nucleari, soprattutto alla luce dei disastri avvenuti in passato, il cui ricordo è ancora vivido.
Sebbene nel corso del tempo abbiano conosciuto un notevole sviluppo tecnologico, le centrali nucleari sono rimaste pressoché invariate nel loro funzionamento. Nel cosiddetto nocciolo avviene la fissione nucleare, ovvero la scissione del nucleo di atoni pesanti, di solito uranio o plutonio. Il grande calore generato viene usato per far evaporare dell’acqua. Il vapore generato muove una turbina, accoppiata ad un alternatore elettrico, producendo energia. Il sistema di regolazione e arresto è costituito da sbarre metalliche, in genere di argento, che inserendosi tra le sbarre di combustibile fissile, ne rallentano o fermano la reazione di fissione intrappolando elettroni. Il nocciolo, infine, è ricoperto da una scudo antiradiazioni. Che cosa differenzia, quindi, le varie generazioni?
Il primo reattore nucleare, rientrante nel progetto Manhattan, fu messo in funzione dall’Italiano Enrico Fermi nel 1942. Si tratta del Chicago-Pile 1, costituito da strati di grafite purissima, in cui erano inserite 56 tonnellate di uranio. Le barre di controllo erano ad attivazione manuale e non c’erano né un sistema di raffreddamento né uno scudo antiradiazioni, vista la modesta potenza prodotta (appena mezzo watt). Negli anni ’50 e ’60 vennero prodotti i primi reattori per uso civile. L’ultimo reattore di 1° generazione, il britannico Wylfa, raffreddato a gas, è stato spento nel 2012. In generale questi reattori erano caratterizzati da scarsa efficienza e da una vita operativa troppo breve in rapporto ai costi.
All’inizio degli anni ’70, la guerra del Kippur tra Israele, Egitto e Siria, causò una profonda crisi del mercato del petrolio. La necessità di produrre sempre più energia, quindi, spinse le potenze mondiali verso il nucleare. Nacquero i reattori di seconda generazione, talmente evoluti che costituiscono la maggior parte dei reattori usati ancora oggi. Nei reattori ad acqua pressurizzata, la maggior parte, l’acqua è divisa in due circuiti: quella del circuito primario serve per il raffreddamento, e quella del circuito secondario genera vapore.
Altre tipologie di reattori erano i CANDU, ad acqua pesante, e gli AGR, raffreddati a gas. Infine, in Unione Sovietica si diffusero i reattori RBMK, costituiti da barre di grafite e uranio arricchito, e raffreddati ad acqua bollente. Questi erano dei veri mostri di efficienza, in grado di generare una potenza doppia perfino rispetto ai reattori usati oggi, ma che avevano enormi problemi di sicurezza. A questa categoria apparteneva, per esempio, il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl.
L’incidente di Chernobyl spinse molti paesi, tra cui l’Italia, ad abbandonare il nucleare. Tutti gli altri sentirono l’esigenza di investire in sicurezza, per evitare il ripetersi di simili eventi. A questo un grande impulso lo diede lo sviluppo dell’elettronica, che permise la nascita di sistemi di sicurezza passivi, cioè che si attivano senza l’intervento diretto dell’uomo. In questi nuovi reattori le barre di controllo sono sospese sul nucleo da un sistema elettro-meccanico. Questo le lascia cadere per gravità non appena la centralina rilevi qualche anomalia, fermando o rallentando la reazione.
Di fatto questi reattori, a differenza di quello che pensano in molti, sono tra le strutture più sicure oggi in funzione. A questa generazione apparteneva, ad esempio, la centrale di Fukushima, protagonista dell’incidente del 2011. Nonostante la concomitanza di un terremoto di magnitudo 9 e di uno tsunami, e l’esplosione contemporanea di tre reattori, l’incidente non causò neanche una vittima, e i danni furono estremamente contenuti.
L’idea alla base dello sviluppo dei reattori di quarta generazione è rendere il nucleare flessibile e sicuro. Alcuni dei progetti più interessanti riguardano i cosiddetti reattori ad altissima temperatura, che, refrigerati ad elio, e non più ad acqua, sono in grado di produrre idrogeno dal calore di scarto, o altri reattori refrigerati a metalli liquidi o sali fusi, in grado di riciclare le scorie prodotte per produrre combustibile, e avere quindi una doppia fonte energetica.
In generale, questa nuova generazione di reattori punta ad abbandonare l’acqua come refrigerante, in favore di fluidi che consentono di lavorare a temperature più elevate, e quindi con rendimenti più elevati, e a pressioni più basse, mantenendo il reattore sempre in condizioni subcritiche. Le condizioni critiche sono quelle per cui la centrale comincia ad autoalimentarsi (tutti gli incidenti si sono verificati in impianti in condizioni critiche). Inoltre, un’altra novità è l’abbandono dell’uranio come combustibile, in favore del torio, un metallo pesante debolmente radioattivo e a lentissimo decadimento (si ricorda che la pericolosità delle scorie di uranio sta proprio nella loro instabilità e nella velocità con cui deperiscono).
Un’altra innovazione, se non una vera rivoluzione, introdotta da questa generazione di reattori è la modularità. Si sta puntando, infatti, alla realizzazione su scala industriale di piccoli reattori. Da soli in grado di produrre pochi megawatt di potenza, se collegati in serie questi mini reattori costituirebbero una grande centrale a tutti gli effetti. Attualmente è in fase di realizzazione il primo impianto di media taglia di questo tipo, capace di produrre fino a 500 MW, sufficienti ad alimentare mezzo milione di abitazioni. Questo tipo di tecnologia è già utilizzata su navi a propulsione nucleare, come le rompighiaccio russe nell’Artico, alimentate da piccoli reattori da 20 MW.
Intanto negli Stati Uniti la start-up specializzata in energia nucleare TerraPower, fondata da Bill Gates, sta mettendo a punto una nuova tipologia di centrale chiamata Natrium. Questa verrà installata presso la cittadina di Kemmerer, nel Wyoming, al posto della preesistente centrale a carbone. La caratteristica di questa centrale è l’utilizzo del sodio liquido come refrigerante al posto dell’acqua. Il sodio liquido ha un punto di ebollizione più elevato, quindi può assorbire quantità maggiori di calore, abbassando la pressione nel reattore e riducendo il rischio di incidenti. Inoltre Natrium non necessita di generatori esterni, ma è completamente autoalimentata. Proprio i generatori esterni sono i punti critici delle vecchie centrali e i responsabili dei disastri di Chernobyl e Fukushima.
Difficile dire se tutti i paesi occidentali si convinceranno ad utilizzare il nucleare come fonte di energia. Senza dubbio questo comporterebbe un notevole decremento di emissioni inquinanti. Il ciclo termodinamico che si realizza è, infatti, a emissioni zero, visto che non si bruciano combustibili fossili. A creare problemi dal punto di vista ambientale e della salute sono le sostanze di scarto, o scorie. D’altro canto, però, c’è da dire che un eventuale incidente in una centrale a petrolio non farebbe molti meno danni all’ambiente. Vista l’incapacità delle rinnovabili di far fronte al fabbisogno energetico globale, il nucleare sembra davvero l’unica alternativa green al fossile.
Certo è che la transizione sarà comunque lenta. Il paese europeo più avanzato sul nucleare, infatti, è la Francia, ancora ferma alla terza generazione. La quarta generazione è ancora in fase sperimentale, e solo per applicazioni su piccola scala. Un grande ostacolo alla sua diffusione, oltre ai costi che comporterebbe, è anche lo scetticismo di molti governi occidentali nei confronti di questa fonte energetica. Molto più avanti, in questo campo, sono paesi come Russia, Cina e Corea, anche loro, però, fermi alla terza generazione.
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