Il fracking è una tecnica di estrazione di gas e oli combustibili dal sottosuolo. È alternativa alla trivellazione verticale più tradizionale perché va ad interessare uno strato roccioso specifico. La tecnica di estrazione tramite fratturazione, sin dalla sua proposizione, desta non poche polemiche e controversie. Oggi i dati raccolti da anni di attività, soprattutto per la larga adozione di questa pratica da parte degli Stati Uniti, permettono a scienziati di corroborare le preoccupazioni avanzate tempo fa durante le prime applicazioni di questa tecnica.
Fracking è il termine utilizzato per indicare la tecnica della fratturazione idraulica, ideata agli inizi del ‘900, per estrarre principalmente shale gas (gas naturale “intrappolato” nelle rocce di scisto, cioè quelle presenti nel sottosuolo e che si sfaldano facilmente). Il fracking consiste nell’utilizzo di un fluido in pressione.
Sostanzialmente, le fasi del fracking sono tre: trivellazione (realizzazione di un pozzo in orizzontale, in profondità, a circa 3.000 metri; un tubo di cemento riveste il canale creato, nel quale si fanno saltare cariche esplosive per generare dei fori che lasceranno poi passare i liquidi e le sostanze chimiche nel terreno); pompaggio (completato il pozzo, gli operatori pompano nel terreno fino a 16.000 litri al minuto di liquidi in pressione; l’immissione di questi liquidi provoca spaccature nel terreno ‘liberando’ lo shale gas, il quale risale in superficie attraverso il tubo); raccolta (alle raffinerie arriva il gas tramite una rete di gasdotti).
L’acqua ad alta pressione additivata con elementi chimici aumenta le sue prestazioni di fratturazione delle rocce. Gli elementi aggiunti sono funzionali alla tecnica di estrazione. L’additivo principale è il proppant, ovvero una miscela di silicati – sabbia – con una funzione strutturale: mantenere aperte le fessure appena create, quindi una sorta di cementificazione dei canali per permettere un efflusso ottimale. L’utilizzo di miscele di acidi permette poi lo scambio ionico col terreno e dunque la mobilitazione di diversi metalli pesanti. Altri elementi chimici presenti sono distillati petroliferi, metanolo, benzene, idrossido di sodio, formaldeide e centinaia di altri elementi.
Studi scientifici delle università americane, monitorando le attività di estrazione per un decennio, danno alcuni dati importanti: solo una frazione variabile dal 10 a 15% degli elementi chimici utilizzati come additivi ha effetti tossici per l’uomo e l’ambiente. Bisogna riflettere, però, sul fatto che tre quarti dei composti chimici trovati nelle acque di processo non hanno report di analisi tossicologiche. Ciò significa che il dato del 10 ÷ 15% è non attendibile, quantitativamente e qualitativamente, ai fini di una valutazione tossicologica delle acque di processo del fracking.
L’azione tossica di alcuni elementi è invece ben nota. I soggetti più a rischio sono certamente i lavoratori che si trovano nei siti. L’esposizione ai silicati, ad esempio, determina ripercussioni sull’apparato respiratorio, comportando incrementi del tasso di incidenza di patologie asmatiche. I distillati petroliferi sono responsabili di irritazioni ad occhi e vie aeree, vertigini e nausea. I metalli pesanti mobilitati durante il processo sono in gran parte neurotossici, come il mercurio, e possono ovviamente essere presenti elementi radioattivi, come il radon 222, che inalati portano a gravi evoluzioni di tossicità interna.
Una diretta conseguenza della pratica del fracking è l’induzione di micro terremoti legati alla zona di estrazione. Questo può causare stravolgimenti del sottosuolo dell’area di interesse, alterando inevitabilmente l’ecosistema locale. La trivellazione in orizzontale amplia il raggio d’azione dell’attività industriale. L’effetto dannoso sugli ecosistemi locali è intensificato: gli animali scappano, o vengono allontanati, dalle zone e nuove aree vengono disboscate per avviare le operazioni di estrazione. La comunità scientifica chiede agli Stati che adottano questa pratica di attuare misure di regolamentazione più stringenti ed efficaci.
L’Environment America Research & Policy Center nel suo rapporto Fracking by the Numbers evidenzia l’inquinamento a danno delle falde acquifere. L’azione distruttiva del fracking può mettere in contatto il sito di estrazione con le falde acquifere e i corsi d’acqua sotterranei limitrofi. Le infiltrazioni di acqua di fracking determinano una contaminazione diretta. Fa discutere molto poi la quantità di metano che sfugge e viene consumato in diversi step del processo di produzione. Il metano, in una finestra temporale di 20 anni, è un gas serra 86 volte più potente dell’anidride carbonica e nel 2014 la quantità immessa in ambiente era di 2,4 milioni di tonnellate (5,4 billion pounds statunitensi). Pesa direttamente dunque sul problema dell’effetto serra generato dai gas climalteranti emessi dalle attività umane.
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