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Come il consumo di carne incide sull’ambiente

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Quando si parla di sostenibilità ambientale bisogna tener conto di ogni aspetto della vita dell’uomo: gli abiti che indossa, l’auto che guida e ciò di cui si nutre. L’industria alimentare, in particolar modo, contribuisce in maniera considerevole ai cambiamenti climatici cui stiamo assistendo: un terzo delle emissioni globali di gas serra deriva esclusivamente da questo settore. Particolare attenzione desta il settore di produzione della carne.

Troppa carne al fuoco

Secondo un rapporto FAO (Food and Agriculture Organization of United Nations), la produzione di carne nei paesi in via di sviluppo è cresciuta in modo considerevole dall’inizio degli anni ’60 fino ai nostri giorni. Cina e Stati Uniti sono passate dall’immettere sul mercato 2.5 e 16.51 milioni di tonnellate annue, rispettivamente, a 88.16 e 46.83 milioni di tonnellate. Questo potenziamento dell’industria della carne è imputabile alla repentina crescita demografica e al processo di urbanizzazione dei paesi più poveri. Difatti è possibile soddisfare un’importante domanda solo attraverso allevamenti intensivi che impongo prezzi di mercato accessibili alle masse. Il problema, però, è che non si tiene conto del prezzo effettivo che pagherà, e sta già pagando, il nostro pianeta Terra.

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La Life Cycle Assessment

Per quantificare e valutare l’impatto ambientale potenziale di un certo bene o servizio si fa riferimento alla Life Cycle Assessment (LCA). Per tutte le fasi del ciclo di vita del suddetto bene vengono quantificate le risorse sfruttate e le emissioni generate.

Il LCA della carne si calcola tenendo quindi conto di:

  • foraggiamento degli animali: l’acqua che viene impiegata e il mangime che deve essere prima prodotto e poi distribuito;
  • terreno: lo sfruttamento, la manipolazione e le eventuali opere di disboscamento;
  • lavorazione della carne, incluso lo stoccaggio e la conservazione (imballaggio e trasporto);
  • scarti che dovranno essere smaltiti.

Questo metodo va quindi a valutare l’impatto ambientale in termini di Carbon-Water-Energy footprint. È possibile quantificare l’energia e l’acqua impiegate, nonché le emissioni di gas serra generate durante il ciclo di vita del prodotto.

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La filiera della carne in termini di emissioni

Nel processo di produzione si immette il 14.5% di gas serra del totale prodotto antropogenicamente.

Queste emissioni derivano:

  • dalla produzione e dalla lavorazione dei mangimi (45% delle emissioni totali);
  • dalla fermentazione enterica dei ruminanti (39% delle emissioni totali);
  • dallo stoccaggio e dalla lavorazione del letame (10 % delle emissioni totali);
  • dalla lavorazione e dal trasporto di prodotti di origine animale (6% delle emissioni totali).

Circa il 44% delle emissioni del bestiame è sotto forma di metano (CH4), mentre la parte restante è dovuta ai fertilizzanti contenti protossido di azoto (N2O, 29%), e all’anidride carbonica (CO2, 27%). Questi gas risultano concorre per il 44% alle emissioni di CH4 antropogeniche (IPCC, 2007), il 53% alle emissioni di N2O antropogeniche (IPCC, 2007) e il 5% alle emissioni di CO2 antropogeniche (IPCC, 2007).

Una valida alternativa

Quest’anno l’overshoot day (giorno in cui terminano le risorse del pianeta che la Terra è in grado di rigenerare durante l’anno) è stato il 29 luglio, quasi un mese prima dell’anno precedente e cinque mesi di prima di quello che dovrebbe effettivamente essere. Ridurre il consumo di carne, senza inficiare al benessere fisico e mentale dell’uomo, è quindi necessario e senz’altro possibile. La soluzione è rappresentata dagli alimenti ecosostenibili e da uno stile di vita equilibrato: è indispensabile limitare il consumo di carne e dei suoi derivati, quindi diversificare tra le tipologie presenti sul mercato, e incoraggiare una dieta varia che riesca ad essere in linea con ciò che ci offre la Terra in uno specifico periodo dell’anno.

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Un’apprezzabile spinta in questa direzione è data dalla promozione del consumo di legumi. Fagioli, lenticchie, piselli sono infatti ottenuti da un processo produttivo a basso impatto ambientale e sono caratterizzati da un apporto proteico paragonabile a quello della carne. Peraltro, essendo fertilizzanti azotati naturali, sono in grado di assorbire azoto dall’atmosfera per poi fissarlo nel terreno, il che comporta una significativa limitazione nell’utilizzo di fertilizzanti artificiali.

Articolo a cura di Martina CASERTA