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Valorizzazione della biomassa residuale dell’industria dell’olio

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Con la crisi climatica emergente la valorizzazione dei rifiuti ricopre un ruolo importantissimo nell’ambito della strategia economica della circolarità e della sostenibilità ambientale.Con oltre 10 milioni di ettari in più di 40 nazioni (>95% della produzione globale nell’area mediterranea), la filiera olivicola-olearia non può prescindere dalla definizione di un piano strategico che regoli e promuova la gestione green dei sottoprodotti derivanti dalla lavorazione delle olive.Più dell’80% della massa di olive che entra in frantoio, infatti, diventa un potenziale rifiuto da valorizzare, sottoprodotto della produzione dell’olio.Vediamo insieme quali sono le principali opzioni disponibili analizzandone pregi e difetti dal punto di visto tecnico ed economico.

Quali sono gli scarti della filiera dell’olio?

Le biomasse residuali della filiera comprendono una grande varietà di prodotti con precise caratteristiche tecnologiche, ognuno dei quali potrebbe avere un destino diverso.

Alcuni di questi rientrano nella categoria della OTPB (Olive Tree Pruning Biomass), una biomassa lignocellulosica derivante dalla potatura degli alberi di olivo. La necessità di numerosi pretrattamenti, tuttavia, rende questa categoria di sottoprodotti spesso difficile da trattare soprattutto per il costo associato a tali processi.

Un’analisi più approfondita merita, invece, la sansa che costituisce una percentuale variabile dal 45 al 70% degli scarti complessivi. Essa è composta dalle bucce del frutto, dai residui della polpa e dal cosiddetto nocciolino.

Il processo attualmente più utilizzato per il trattamento della sansa è la digestione anaerobica.

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Che cos’è la digestione anaerobica?

La Digestione Anaerobica (DA) è un processo di stabilizzazione e degradazione di un substrato organico in condizioni di anaerobiosi, cioè di assenza di ossigeno, realizzata da un consorzio di microorganismi che porta alla produzione di biogas a partire da carboidrati, proteine e grassi.

Mediamente la composizione di questa miscela gassosa è la seguente: metano (CH4), 55–75%, diossido di carbonio (CO2), 25–45%, acido solfidrico (H2S) 1-2%, tracce di ammoniaca, NH3 e idrogeno gassoso, H2.

Il processo ha luogo in grandi reattori chiamati digestori che consentono di garantire condizioni ottimali per la crescita microbica. I parametri biochimici da monitorare sono il pH, la miscelazione, l’ambiente anaerobico, le caratteristiche del carico organico e la temperatura.

Proprio in base al range di temperatura operativa si distinguono tre regimi di digestione anaerobica: psicrofilo (<25°C), mesofilo (30-40°C) e termofilo (50-60°C).

Il biogas ottenuto, dopo una raffinazione mirata all’eliminazione dei gas presenti in percentuali minori, può essere utilizzato direttamente come combustibile o essere sottoposto a un ulteriore post-trattamento denominato upgrading. Questo consente di ottenere biometano per l’autotrazione o per l’immissione in rete.

Post-trattamenti del biogas derivante da sansa di olive

In Italia, alcune aziende che si occupano della produzione di olio si sono già dotate di un impianto di valorizzazione della sansa. Un esempio è l’azienda Agrolio (Andria, Puglia) che tratta sansa di oliva denocciolata.

Il loro stabilimento comprende un impianto mirato alla produzione di biogas utilizzato per la cogenerazione di energia termica ed elettrica, in analogia ad altri presenti principalmente in Europa.

Le informazioni di seguito fornite sono, per questo motivo, di validità generale.

A valle del digestore, un filtro (in genere a carbone attivo) ha l’obiettivo di trattenere le maggiori impurità presenti nella miscela come l’acido solfidrico che potrebbe causare problemi alle unità successive per la sua azione corrosiva.

Un chiller viene a questo punto adoperato per abbassare la temperatura del biogas consentendone una deumidificazione e, infine, una soffiante aumenta la pressione della miscela rendendola idonea per l’alimentazione del motore.

Il motore a combustione interna turbocompresso, in assetto di cogenerazione, consente di ottenere energia elettrica ed energia termica. Quest’ultima deriva dal circuito del radiatore, dal primo stadio intercooler, dall’acqua calda del circuito motore (che verrà adoperata per garantire la temperatura adeguata del digestore) e dai fumi caldi tramite l’impiego di uno scambiatore a tubi di fumo.

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Perché oggi la DA è la più utilizzata?

  • Processo meno energivoro rispetto, per esempio, a quello seguito per la produzione di bioetanolo;
  • Ottimo esempio di economia circolare in quanto consente la produzione, dopo opportuno post-trattamento del digestato, di ammendante compostato (circa 75% della massa in ingresso);
  • La percentuale di metano della miscela ottenuta dalla sansa è alta, conferendole un potere calorico in media superiore rispetto ad altre biomasse;
  • Un’ampia gamma di substrati è adoperabile;
  • Pretrattamenti semplici (idrolisi acida);
  • Genera il duplice effetto di costituire una fonte di guadagno diretto sfruttando la produzione di elettricità e calore e di ridurre esborsi per la gestione dei rifiuti;
  • L’impatto ambientale legato alla realizzazione e alla demolizione dell’impianto è modesto, tanto più è lunga la vita e la produttività dello stesso.

Quali alternative alla DA sono disponibili?

La combustione diretta della biomassa derivante dalla potatura degli alberi direttamente nei campi è una pratica usuale ma rappresenta un’alternativa poco ecosostenibile e molto rischiosa. Questo a causa delle emissioni non controllabili e del pericolo di incendio.

Una scelta spesso adottata, soprattutto dalle grandi aziende agricole, è la combustione in termovalorizzatori (o in combustori semplici senza recupero energetico denominati torce) con appositi sistemi di filtraggio e monitoraggio dei fumi. Questa, oltre a ridurre il rischio ambientale, permette la valorizzazione delle ceneri che possono essere impiegate, ad esempio, per la produzione di mattoni cotti.

Le olive sono, inoltre, oggetto di studio e ricerca per l’estrazione di sostante antiossidanti nell’ambito della nutraceutica.

Articolo a cura di Francesco DE LEO