Spesso parlando di energia si tende a trascurare un elemento fondamentale: la politica. Il settore energetico, che trascina la produttività di ogni Paese, è intimamente politicizzato. Sarebbe irragionevole pensare che crisi politiche, più o meno gravi, non abbiano ripercussioni, più o meno importanti, sull’economia e dunque sulla storia evolutiva di un Paese e dei Paesi politicamente ad esso connessi.
Per capire come il Libano sia finito all’ombra del cedro, è importante dare qualche dato sulla crisi economica e finanziaria in cui è invischiato da tempo, con il fattore pandemia ad aggravare una situazione già complessa.
Quello che sta accadendo in Libano, riporta la World Bank, è una delle crisi economiche e finanziarie più importanti mai registrate. Secondo gli autorevoli economisti Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, il Lebanon Economic Monitor mostra come, alla primavera del 2021, l’attuale crisi libanese vada a confrontarsi con le peggiori crisi globali verificatesi tra il 1857 e il 2013. L’indicatore GDP – gross domestic production, o prodotto interno lordo PIL – è crollato dai 55 miliardi di dollari nel 2018 ad appena 33 miliardi nel 2020, con una riduzione del 40% del GDP pro capite. La World Bank, dunque, conclude che quella del libano è tra le 10, o addirittura tra le prime 3, peggiori crisi economiche finanziarie verificatesi dalla metà del diciannovesimo secolo.
Le stime non sono ottimiste e prevedono altre contrazioni del PIL nei mesi a venire. L’inflazione tocca beni di prima necessità, costringendo le famiglie a spendere tutto il loro salario per non morire di fame. Il giornalista Ahmed Kasis da una quantificazione chiara: il costo di un litro di latte è passato da 3 mila lire libanesi, nel precrisi, a 24 mila lire attuali. L’osservatorio dell’Università Americana di Beirut afferma che il costo di un paniere alimentare è aumentato, nel giro di un mese, di oltre il 50%. A questo punto le famiglie libanesi non riescono a far fronte a un’impennata simile dei prezzi per i beni di prima necessità. La tensione nel Paese si amplifica, lasciando intravedere scenari di una nuova guerra civile libanese.
La crisi economica e finanziaria non risparmia certo il settore energetico. Di fatto la situazione è talmente grave e precaria che perfino le centrali più importanti del Libano sono rimaste a secco di materie prime. Daeir Ammar e Zahrani funzionano a singhiozzo e al minimo della loro potenza di generazione, non venendo sufficientemente rifornite. Qui ci riallacciamo alla politicizzazione del settore energetico. Sono in piedi difficili trattative con gli Stati del Medio Oriente e gli Stati Uniti per l’approvvigionamento di combustibili. La rotta con Damasco, e l’Iran più in generale, è la più battuta, nonostante le tensioni politiche tra Stati Uniti e Iran. Tuttavia l’afflusso di combustibili sembra insufficiente per ripristinare una generazione di potenza a pieno regime.
La scarsità di energia nel Paese rende difficile garantire i servizi essenziali, mettendo a rischio la sopravvivenza degli ospedalizzati. Città tra le più grandi del Libano come Beirut, Tripoli e Sidone sono finite in completo blackout per diverse ore. Più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, cosicché inflazione e interruzione elettrica impediscono la corretta conservazione di medicinali e alimenti. Negli ospedali vengono rimandati anche gli interventi essenziali e si registrano casi di avvelenamento alimentare. Pochi riescono a permettersi una continuità elettrica pagando generatori privati.
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