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Crisi energetica in Cina: la causa è il prezzo del carbone

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Da alcuni giorni in diverse zone della Cina si verificano blackout totali: intere città al buio, interruzioni di produzione e servizi e rifornimenti alimentari che scarseggiano. La causa principale di questa crisi energetica è l’energy crunch del carbone: un aumento vertiginoso del prezzo, che tuttavia non è dovuto alle politiche sul clima. Si teme il peggio per l’inverno.

Energy Crunch come causa principale della crisi energetica

Il termine “Energy Crunch” indica un forte e rapido aumento del prezzo di una fonte energetica, principalmente causato da carenza di risorse. In Europa si sta verificando un energy crunch del gas naturale, il cui prezzo è quadruplicato rispetto a inizio 2021.

In Cina invece è il prezzo del carbone a essere aumentato, fino ad arrivare a 205 dollari per tonnellata.

L’estrazione del carbone è diminuita molto grazie alle politiche del presidente Xi Jinping, tuttavia non tutte le provincie le hanno rispettate. Per stare al passo con la crescita della domanda estera di beni e materie prime, diverse provincie cinesi non hanno rispettato gli obiettivi a loro assegnati. La causa principale è la forte ripresa di produzione in seguito ai mesi più difficili della pandemia.

L’incremento di produzione, specie nel periodo post Covid, ha aumentato notevolmente la domanda di carbone. Questo consumo, unito alla scarsità di risorse, ha causato un incremento considerevole dei prezzi del carbone. Molte centrali elettriche hanno dovuto ridurre la produzione di energia per evitare di acquistarne troppo e andare così in perdita.

La crisi energetica minaccia la crescita della Cina

La crisi ha colpito principalmente il Nord Est della Cina, per un totale di 16 provincie. Milioni di persone rimaste al buio, le aziende locali e multinazionali hanno interrotto la produzione e anche i servizi alimentari scarseggiano. Il governo centrale ha imposto razionamenti dell’energia: blackout programmati, segnaletica stradale spenta e razionamento per le abitazioni.

La crisi è arrivata anche alle città principali. Le autorità hanno dovuto applicare gli stessi provvedimenti (in scala più ridotta) a Shangai e a Pechino. Le interruzioni sono giornaliere e durano diverse ore, e proseguiranno a rotazione di orari fino al 3 ottobre.

L’inverno però si sta avvicinando e la Cina deve fare scorta di carbone per soddisfare la domanda per i riscaldamenti. D’altra parte non può fare troppo affidamento sulle importazioni: la crisi politica con l’Australia ha interrotto l’acquisto di carbone da Canberra. Sono necessari altri fornitori, ma nel Sud Est asiatico non ci sono risorse sufficienti. XI Jinping ha annunciato che la CIna interromperà lo sviluppo di centrali di carboni all’estero per favorire lo sviluppo delle rinnovabili.

Secondo Goldman Sachs, questa crisi ha colpito il 44% dell’attività industriale cinese e potrebbe causare un tracollo del PIL. In soli due giorni, il PIL di Pechino è sceso dello 0.4%.

La crisi avrà effetti globali?

La Cina rimane il più grande produttore di acciaio, alluminio, dispositivi elettronici e metalli rari. Oggi il PIL cinese rappresenta da solo il 16% di quello globale. Non è un caso che questa crisi si sia verificata in questo periodo dell’anno. La produzione di beni e materie prime aumenta notevolmente a inizio autunno, senza contare la ripresa dovuta al termine della pandemia. 

La minore produzione aumenterà il prezzo di numerosi beni, già aumentati nei mesi scorsi a causa del costo più alto delle materie prime.

Pegatron, uno dei principali fornitori della Apple, ha applicato nuove politiche per ridurre il consumo di energia. Molti produttori di tessuti tecnici e sintetici hanno sospeso la produzione del tutto.  

Al momento non ci sono notizie o comunicati sulla interruzione di forniture. Molti analisti tuttavia prevedono un aumento notevole dei prezzi dei prodotti a pari passo con una diminuzione di disponibilità sul mercato.