Eufrate a secco: crisi umanitaria nella Siria nord-orientale
Il fiume Eufrate si sta prosciugando. Fenomeni prolungati di siccità hanno causato il forte abbassamento del livello del fiume, specialmente nei territori del Nord-Est della Siria. La situazione rischia di collassare, in quanto le popolazioni locali vedono le proprie coltivazioni distruggersi e le proprie riserve di acqua scarseggiare. Quella che abbiamo studiato come la “mezzaluna fertile”, culla della civiltà antica, rischia di diventare un deserto.
Il fiume Eufrate: come è cambiata la situazione
L’Eufrate è il fiume più lungo e uno dei più storicamente importanti dell’ Asia occidentale. Insieme al Tigri, definisce la Mesopotamia (la “Terra tra i fiumi”). Originario della Turchia, l’Eufrate scorre attraverso la Siria e l’Iraq per 2800 chilometri, per unirsi al Tigri nello Shatt al-Arab, che sfocia nel Golfo Persico.
L’Eufrate riceve la maggior parte della sua acqua sotto forma di pioggia e neve che si scioglie, con picchi di volume durante i mesi di aprile a maggio. Lo scarico in questi due mesi rappresenta il 36 percento dello scarico annuale totale dell’Eufrate, mentre il deflusso basso si verifica in estate e in autunno. Il regime di scarico dell’Eufrate è cambiato radicalmente dalla costruzione delle prime dighe negli anni 70. I dati sulla portata dell’Eufrate raccolti dopo il 1990 mostrano l’impatto della costruzione delle numerose dighe nell’Eufrate e dell’aumento del prelievo di acqua per l’irrigazione.
L’acqua dell’Eufrate alimenta due centrali elettriche, quella di Tabqa e quella di Tishrin, entrambe gestite dalle forze curdo-siriane, ostili alla Turchia. Le organizzazioni umanitarie siriane affermano che la diga di Tishrin sta rilevando livelli di acqua estremamente bassi, con conseguenti blackout elettrici. Anche le riserve d’acqua nella diga di Tabqa sono esaurite per oltre l’80%, come riportato a Maggio da ANSA. Entrambe le dighe assicurano acqua ed elettricità non solo alle zone controllate dalle forze curde ma anche alle aree governative e a quelle sotto controllo turco a nord di Aleppo.
Tra cambiamento climatico e politica
Il governo centrale siriano e le comunità curdo-siriane accusano il governo di Ankara di aver ridotto considerevolmente il flusso di acqua dalle sue dighe. Questo perché quasi il 90% del flusso dell’Eufrate proviene dalla Turchia, secondo le Nazioni Unite. Per garantire un’equa quota alla Siria, la Turchia nel 1987 ha accettato di cedere una media annuale di 500 metri cubi al secondo di acqua. Ma secondo i dati rilevati negli ultimi mesi, la quota è scesa fino a 200 metri cubi al secondo.
A queste accuse, un diplomatico turco ha risposto negando le accuse, e sottolineando il lungo periodo di siccità di cui sta soffrendo il territorio, a causa della scarsità delle piogge, effetto del cambiamento climatico in atto. Ma l’analista siriano Fabrice Balanche ha affermato che la siccità rientra all’obiettivo a lungo termine di Ankara di “asfissiare economicamente la Siria nord-orientale”.
Una catastrofe umanitaria in atto
Le stime attuali indicano che oltre cinque milioni di persone, nel nord-est della Siria, dipendono dall’Eufrate per la loro acqua potabile e circa tre milioni di persone per l’elettricità. Anche le infrastrutture vitali, inclusi ospedali, reti di irrigazione e stazioni idriche, sono state colpite. Se la situazione non dovesse migliorare, i possibili impatti a lungo termine includono danni all’agricoltura, un peggioramento della già grave insicurezza alimentare, perdita di mezzi di sussistenza, e un grave indebolimento della salute pubblica complessiva.
Le agenzie delle Nazioni Unite stanno continuando il lavoro essenziale per arginare gli impatti peggiori di questa crisi, effettuando la consegna giornaliera di milioni di litri di acqua in aiuto delle famiglie nell’area colpita. Queste misure però non possono sostituire l’accesso a lungo termine, regolare e affidabile all’acqua, ai servizi igienici, all’elettricità e ad altri servizi di base. Per il bene di milioni di famiglie, molte che stanno già lottando per far fronte a 10 anni di crisi, il Coordinatore residente delle Nazioni Unite e Coordinatore umanitario per la Siria, Imran Riza, e il Coordinatore umanitario regionale per la crisi siriana, Muhannad Hadi, esortano le parti a lavorare insieme per trovare una soluzione sostenibile ed equa che soddisfi i bisogni di tutti.