Concluso il G20 di Napoli su ambiente, clima ed energia, ci si prepara al prossimo evento di spicco relativo al cambiamento climatico e alle misure più efficaci per mitigare i suoi effetti. Questo autunno, nel mese di novembre, le rappresentanze dei paesi delle nazioni unite si riuniranno in Scozia, a Glasgow. Qui si terrà, infatti, la COP 26 o 26ª conferenza delle parti delle nazioni unite sui cambiamenti climatici. È il tema scottante di questo secolo.
La corsa contro il tempo è iniziata ben prima che l’umanità si rendesse conto di dover iniziare a correre. È sia una corsa contro il tempo che contro l’uomo: l’umanità e l’uomo come antagonista. Pensare che d’un tratto ci si sia resi conto dei disastrosi danni ambientali è calpestarsi, mettere le briglie alla ragione e guidarla all’ombra del rassicurante consumismo. In questa ultima parola risiede, forse, una delle fratture più imponenti mai registrate nel corso della storia umana.
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione?
Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè — come dicevo — i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
Pier Paolo Pasolini per il Corriere della Sera, 9 dicembre 1973
A tal proposito è bene ragionare su come mitigare gli effetti del cambiamento climatico cambiando alcune abitudini che stanno mandando al collasso il pianeta. Comprare meno, in modo più razionale e riflessivo è sicuramente un ottimo punto di partenza. Siamo costantemente bersagliati da strategie di manipolazione mentale mirate a creare false necessità di acquisto. Ci circondiamo di oggetti di cui non abbiamo un reale bisogno. Di fatto però contribuiamo ad alterare la reale curva di domanda corrispondente a questi prodotti. In questo modo il volume offerto sul mercato dalle aziende seguirà questa tendenza. L’azienda avrà ottenuto il suo obiettivo: incrementare le vendite.
D’altra parte, questo circolo vizioso si ritorce contro l’ambiente e il consumatore stesso. Principalmente perché per produrre il surplus di merce non necessaria vengono impiegate risorse che potrebbero essere sfruttate in modo più etico, come la produzione di beni necessari. In secondo luogo, sarà maggiore la percentuale di prodotti che necessiteranno di essere smaltiti. Inoltre, sarà più breve la vita dei prodotti, che finiranno prima negli impianti di recupero. Il consumatore, poi, intaccherà il suo patrimonio per acquistare beni che non gli portano un reale beneficio.
Allo stato attuale solo il 9% dei rifiuti plastici viene effettivamente riciclato. La restante parte finisce accumulata nelle discariche e sversata irregolarmente in ambiente. Mitigare il plastic pollution è ad oggi uno dei problemi più gravi, che richiede interventi mirati e tempestivi. In numeri si parla di milioni di tonnellate di rifiuti plastici non smaltiti ogni anno. I ritmi attuali di produzione non sono sostenibili, non basta utilizzare energia ricavata da fonti rinnovabili ma insistere nel produrre lo stesso volume di prodotti. Bisogna ridurre la produzione ed aumentare esponenzialmente la capacità di riciclo. Questo è il concetto chiave attorno al quale si sviluppa l’economia circolare.
Altro tema delicatissimo e difficile è quello del settore alimentare. L’industria alimentare, secondo diversi studi autorevoli, pubblicati su riviste quali Science e Nature Food, contribuisce per circa un terzo alle emissioni di gas serra globali annuali. Ha, poi, ripercussioni profonde sugli ecosistemi locali, avendo la necessità di utilizzare enormi spazi e risorse (acqua, fertilizzanti, foraggio). L’utilizzo intensivo e il cambiamento di destinazione d’uso del suolo – LULUC: land-use and land-use change – pesano per circa il 70% sulle emissioni di CO2eqv del settore.
Un passo importante per mitigare le emissioni della filiera è ridurre il consumo di carne. Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology dimostra la riduzione dell’impatto ambientale annuo dello statunitense medio se nella sua dieta la carne venisse sostituita dai vegetali.
Ogni individuo sarebbe responsabile di 833 kg di CO2 non emessi ogni anno – quantità di gas climalteranti emessi per coprire 3,5 volte la tratta Roma-Parigi con aereo a medio affollamento (inclusi trasferimenti da e per aeroporti ed emissioni legate alla produzione e distribuzione del carburante).
Da una parte questo concetto ricalca quanto detto riguardo il consumismo: ridurre l’acquisto di oggetti non indispensabili si traduce, oltre nel risparmio di materie prime, nel risparmio di energia necessaria al loro processamento. Essere consumatori consapevoli porta molteplici benefici all’ambiente e a noi stessi. Nei paesi dove è alta la produzione di energia ricavata da fonti rinnovabili sarebbe opportuno utilizzare gli apparecchi elettrici di giorno, per sfruttare sul momento l’energia generata. Sistemi di accumulo ad alta capacità sono ancora molto ingombranti e costosi. Per questo motivo molta energia prodotta da fonti rinnovabili, fuori dalle fasce di maggior richiesta, viene spesso buttata via tramite appositi sistemi di dissipazione: esiste un bilancio energetico da mantenere tra energia prodotta e ceduta per salvaguardare la salute dei componenti di un impianto.
La chiave per ridurre l’utilizzo di combustibili fossili è nello sviluppo di accumulatori energetici più efficienti. I sistemi di storage permetterebbero di immagazzinare più energia, non sprecando il surplus in generazione, con la possibilità di coprire picchi energetici più impegnativi ed avere, eventualmente, una capacità di copertura nelle ore di non generazione.
Su piccola scala si può pensare a una attività di modeste dimensioni, attiva nelle sole ore diurne. Mitigare il suo impatto sulla rete è possibile installando un impianto fotovoltaico. Ancor meglio se questo impianto fosse opportunamente sovradimensionato e dotato di un efficace sistema di accumulo. Il sistema permetterebbe di dare un contributo energetico anche durante i giorni in cui la generazione è compromessa da condizioni meteorologiche non favorevoli.
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