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Recupero di calore di scarto verso un’industria più green

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Il recupero del calore di scarto dei processi industriali potrebbe rappresentare un grande passo nel raggiungimento degli obiettivi europei di risparmio energetico, incrementando l’efficienza energetica di uno dei settori più energivori.

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Gli obiettivi europei di risparmio energetico

Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) stabilisce di conseguire al 2030 una riduzione dei consumi di energia primaria pari al 43% rispetto ai valori del 2007. A tal fine, la Commissione Europea ha emanato la Direttiva 2018/2002, in sostituzione della precedente 2012/27/UE, con la quale rinnova e amplia le misure di promozione e sostegno dell’efficienza energetica. Allo scopo di raggiungere un obiettivo così ambizioso è necessario intervenire su più fronti, coinvolgendo tutti i settori: residenziale, terziario, dell’industria e dei trasporti.

L’impatto ambientale del settore industriale

Il settore industriale, in particolare, è responsabile di circa il 25% dei consumi finali di energia e di oltre il 50% delle emissioni di anidride carbonica a livello europeo. Le industrie sono dunque realtà molto energivore e, in quanto tali, offrono notevoli opportunità di intervento.

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Il calore di scarto dei processi industriali

Nei processi industriali, buona parte dell’energia globalmente consumata viene persa sotto forma di flussi di calore inutilizzati. Questo calore è detto calore di scarto (waste heat) ed è legato alle inefficienze del processo produttivo e alle limitazioni termodinamiche insite nello sfruttamento del calore prodotto. Il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) ha condotto un’analisi allo scopo di valutare la disponibilità teorica del waste heat in Italia. I risultati ottenuti sono in grado di fornire un’idea preliminare delle potenzialità di recupero.

Calcolo del waste heat italiano: la metodologia del GSE

Allo scopo di definire il calore di scarto teoricamente disponibile è stata utilizzata una procedura di calcolo basata su opportuni fattori applicati ai dati dei consumi energetici di tutti siti industriali italiani. Tuttavia, a causa della indisponibilità di dati esatti sui consumi energetici di ogni sito industriale, i valori ottenuti devono essere letti a puro titolo indicativo.

I risultati dell’analisi: le potenzialità del recupero

Attraverso questa analisi, il GSE ha stimato che in Italia sarebbero disponibili circa 27 mila GWh di calore di scarto ogni anno. In particolare, i siti industriali che presentano maggiori potenzialità di recupero di cascami termici sono quelli dei settori della siderurgia e del chimico e petrolchimico. Da questo dato appare chiaro che il recupero di una tale quantità di calore consentirebbe un’enorme riduzione dell’impatto ambientale del settore industriale.  

Recupero di calore di scarto: lo stato attuale

Allo stato attuale esistono diverse tecnologie di recupero del calore di scarto, grazie alle quali è possibile produrre non solo energia termica o frigorifera a differenti livelli di tem­peratura, ma anche energia elettrica. Tra queste vi sono, già commer­cializzate in determinati campi di potenza:

Pertanto, il riutilizzo del calore di scarto è nella gran par­te dei casi tecnicamente fattibile. Nonostante la fattibilità tecnologica, il tasso di implementazione di progetti di recupero del calore di scarto è ancora basso. Cos’è, allora, che impedisce alle aziende di adottare tali tecnologie?

I limiti tecnologici del recupero di calore a bassa temperatura

Innanzitutto, è necessario fare una distinzione tra calore di scarto a media e alta temperatura (>250 °C circa) e calore di scarto a bassa (<250 °C cir­ca) e a bassissima temperatura. Per quanto riguarda la prima categoria, il recupero è relativamente semplice e raggiunge elevate efficienze. Tale energia termica può poi essere sfruttata per soddisfare i fabbisogni termici di varie utenze o per produrre energia elettrica. L’utilizzo del calore di scarto a bassa (<250 °C cir­ca) e a bassissima temperatura (<120 °C), invece, è più difficoltoso, tanto che spesso risulta economicamente non conveniente, sia per le modeste efficienze di conver­sione del calore, che per la necessità di grandi superfici di scambio termico. ed utilizzatori.