Il tema dell’energia in tutti i suoi aspetti ed implicazioni (produzione, gestione, fonti primarie) ha assunto un ruolo chiave per lo sviluppo di tutte le nostre società.
La comunità scientifica internazionale dibatte su come ricavare energia, vista il problema del global warming, ha rivolto da tempo la propria attenzione verso le rinnovabili. Lo sviluppo delle rinnovabili, sebbene costellato da diversi problemi tecnologici, è una realtà sempre più affermata, come testimoniano i numerosi impianti fotovoltaici o le numerose wind farm che notiamo soprattutto fuori dai centri abitati.
A questo dobbiamo aggiungere che le fonti di energia tradizionali sono destinate ad esaurirsi se consideriamo anche il trend di crescita economica e demografica del pianeta.
Il problema energetico ha delle forti implicazioni che sfociano nella politica nazionale e nella geopolitica internazionale, nonché nei rapporti di forza tra vari Paesi che, proprio per questioni di fonti di energia (generalmente fossili), sono poco amichevoli, discontinui e tesi.
In questo contesto molto variegato e abbastanza complesso, entra in gioco la produzione di idrogeno molecolare (H2). L’idrogeno non esiste nella sua forma molecolare (sebbene sia l’elemento più abbondante nell’universo) ma combinato in composti con altri elementi chimici. Dunque deve essere prodotto tramite processi chimici.
Il classico processo di produzione a partire da idrocarburi prevede la produzione dell’idrogeno mediante lo steam reforming. Lo steam reforming è fondamentalmente una reazione chimica tra il metano e il vapore d’acqua a temperature elevate per la produzione di syngas. Questo processo risulta fortemente impattante nei confronti dell’ambiente visto che, tra i suoi prodotti viene sprigionato anche monossido di carbonio.
Un’alternativa agli idrocarburi tradizionali, poco sfruttata per bassa efficienza e costi elevati, è rappresentata dall’elettrolisi dell’acqua. Sostanzialmente, consiste in una reazione chimica redox e prevede l’uso di acqua (distillata) e di energia elettrica prodotta per via rinnovabile. Combinati hanno come prodotto finale l’idrogeno molecolare (H2) e l’ossigeno (O2) rilasciato nell’ambiente ma del tutto innocuo.
L’elettrolisi a partire da fonti di energia rinnovabile ha lo svantaggio di essere più costoso e antieconomico rispetto ai tradizionali metodi da idrocarburi.
In realtà la tecnica di produrre idrogeno mediante l’elettrolisi non è recente e fu sperimentata per la prima volta nel 1839 da William Grove. Ha inoltre il grosso vantaggio di essere totalmente green visto l’impiego di energie rinnovabili ed acqua come fonti primarie. Dunque non emette nell’ambiente sostanze tossiche e climalteranti con un’importante ricaduta sul piano della salute dell’intero pianeta.
L‘elettrolisi per la produzione di idrogeno avviene attraverso particolari dispositivi elettrochimici detti elettrolizzatori e in ambito commerciale e R&D ne possiamo distinguere diverse famiglie.
Ad esempio possiamo citare le tre principali tecnologie per la realizzazione di questi dispositivi: gli elettrolizzatori alcalini (alkaline electrolyzers), gli elettrolizzatori polimerici P.E.M (polymer electrolyte membrane electrolyzers) e gli elettrolizzatori ad ossido solido S.O.E. (solid oxide electrolyzers).
Queste categorie si distinguono sulla base delle tecnologie costruttive, dell’efficienza di lavoro, dei materiali impiegati nella realizzazione e, non meno importante per una piena affermazione sul mercato, dei costi.
Uno dei problemi che più affligge la produzione l’idrogeno e che ne limita pesantemente la diffusione attualmente è la fase di stoccaggio ed immagazzinamento.
Questo avviene principalmente perché il gas presenta una particolare caratteristica per quanto concerne la sua densità: un’elevata densità di energia per unità di massa ma una bassa densità energetica per unità di volume e questo dunque comporta che vengono richiesti consistenti ed ingombranti volumi per il suo deposito. Questa peculiarità dunque riveste particolare importanza quando gli spazi a disposizione sono limitati come, per esempio, nell’ambito automotive dove appunto gli spazi sono abbastanza limitati.
Si può ovviare al problema dello stoccaggio, confinando il gas in recipienti ad altissima pressione e questi (attualmente si parla di pressioni comprese tra i 350 atm e 700 atm), per essere pressurizzati, richiedono un compressore che produce un certo consumo di energia non indifferente.
Anche il processo di liquefazione, che potrebbe costituire un’altra alternativa tecnologica valida, richiede un elevato dispendio energetico per il processo di raffreddamento per portare l’idrogeno a circa -250°C.
Per quanto riguarda la diffusione di questo prezioso vettore energetico, secondo un articolo in cui Domenico Affinito e Milena Gabanelli ne discutono con il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani comparso sul Corriere della Sera il 4 maggio scorso, sono stati stanziati dalla Ue nel Recovery Plan cerca tre miliardi per lo sviluppo dell’idrogeno diversamenti ripartiti per la riconversione delle imprese particolarmente energivore, per il comparto R&D e per la produzione di idrogeno.
Sicuramente un segnale, tra i tanti degli ultimi anni, concreto che ci fa sperare che un futuro green e low carbon e dunque sicuramente più sostenibile sul piano ecologico è ancora possibile e soprattutto auspicabile dove la produzione, la gestione e l’impiego dell’idrogeno possono costituire una nuova frontiera in campo energetico da cui poter sviluppare nuove conoscenze e competenze tecniche.
Articolo a cura di Omar EL SHABRAWI
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