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La doppia piramide alimentare: alimentazione e sostenibilità

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Il Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) ha creato questo sistema a doppia piramide che mette a confronto, da un lato la dieta mediterranea e dall’altro la sostenibilità ambientale.

La piramide di sinistra

La piramide sinistra è prodotta basandosi sui principi legati alla dietra mediterranea. L’area più larga e colorata di verde, che si trova alla base, prevede gli alimenti che vanno assunti con frequenza maggiore e più importanti per la nostra salute. Questi sono, tra gli altri, verdure, frutta, cereali e legumi.

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A metà della piramide si trovano gli elementi in fascia arancione, per i quali è prevista una assunzione con frequenza minore ovvero settimanale: pesce, uova e carni bianche tra gli altri. Al vertice della piramide, in rosso, alimenti la cui assunzione deve avvenire in maniera molto limitata: carni rosse ed alimenti ad elevato tenore di grassi saturi.

La piramide di destra

Di piramidi alimentari ne esistono molte e sono tutte piuttosto simili. La piramide di destra, però, è una piramide sicuramente meno nota. Parliamo della piramide ambientale. Questa classifica gli alimenti sulla base dell’impatto ambientale generato dalla loro produzione. Questa piramide mostra come gli alimenti più dannosi per l’ambiente siano gli stessi che dovremmo assumere con minore frequenza. Di contro, quelli più consigliati dal punto di vista nutrizionale sono anche quelli che impattano di meno sull’ambiente.

La piramide ambientale

La costruzione della piramide ambientale è stata possibile grazie allo strumento metodologico, che ormai abbiamo imparato a conoscere qui su energy, della Life Cycle Assessment (LCA). Normata dagli standard di riferimento ISO 14040 e ISO 14044, permette di valutare l’impatto ambientale potenziale di un processo, prodotto o servizio lungo tutto il proprio ciclo di vita.

Nello studio condotto da BCFN, sono stai analizzati tre indicatori ambientali per generare la classifica degli alimenti:

  • la carbon footprint che quantifica, in termini di CO2eq, le emissioni di gas serra responsabili del climate change;
  • la water footprint che quantifica la quantità di acqua totale impiegata lungo tutto il ciclo di vita per produrre l’unità funzionale dello studio;
  • la ecological footprint che rappresenta un indicatore piuttosto complesso “calcolato come la somma di terreni coltivati, pascoli, foreste e zone di pesca necessarie per produrre gli alimenti e l’energia essenziali per le attività umane; assorbire tutti i rifiuti emessi; fornire spazio sufficiente per le infrastrutture“.

Un confronto diretto

Nel documento, BCFN ha analizzato molte ricette e molti menù, per misurare l’influenza delle scelte alimentari sull’ambiente. Un confronto diretto può essere fatto considerando un regime alimentare vegetariano e uno a base di carne, entrambi equilibrati sotto il profilo nutrizionale.

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L’analisi dei tre indici ambientali mostra come il menù a base di carne impatti maggiormente sull’ambiente rispetto a quello vegetariano. Questo, ovviamente, non ci risulta nuovo poiché l’allevamento intensivo arriva ad impattare, a livello globale, anche di più del settore dei trasporti su gomma.

Il tramonto della carne?

Un’analisi di questo tipo, quindi, ci dice che bisogna bandire i menù a base di carne? La risposta è sicuramente no. Un’analisi di questo tipo ci aiuta, invece, a capire che la carne andrebbe consumata in quantità minori rispetto agli attuali trend e magari di maggiore qualità. Inoltre, per ridurne gli impatti, la carne dovrebbe provenire da allevamenti non intensivi, locali.

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Una soluzione sembra essere rappresentata dalla carne sintetica. Non volendo intervenire sulle questioni etiche che esulano da questo lavoro, l’impatto ambientale della carne coltivata è significativamente inferiore rispetto a quello della carne bovina.

Uno studio condotto da ricercatori di Oxford e dell’Università di Amsterdam ha concluso che la carne coltivata è molto sostenibile da un punto di vista ambientale. Essa infatti genera, rispetto alla carne allevata convenzionalmente, solo il 4% di emissioni di gas serra, riducendo il fabbisogno energetico fino al 45% e richiedendo solo il 2% della superficie.