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L’ultimo grido dell’Iceberg A-68: il ruolo dei ghiacciai.

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In questi giorni l’iceberg A-68 sta completamente fondendo nelle acque del circolo polare antartico. È una notizia che nessuno vorrebbe leggere. Soprattutto perché finalmente oltre il 50% dei governi delle più influenti nazioni mondiali per emissioni di inquinanti e gas serra sembrano aver preso una posizione più risoluta riguardo una più coesa regolamentazione da adottare per contrastare l’aumento della temperatura media mondiale.

A-68

Secondo la NASA il processo di distaccamento di A-68 ha avuto inizio nel 2016. Nel mese di dicembre il ricercatore John Sonntag ha fotografato una frattura nella Larsen C, regione meridionale della piattaforma antartica. La piattaforma è facilmente individuabile essendo una lingua di ghiaccio che si protrae verso la terra del fuoco argentina. Il completo distaccamento della piattaforma era inevitabile a causa dell’entità del solco che si era creato. Tutto si deve all’operazione IceBridge della NASA che ha messo a disposizione dei ricercatori una flotta di aeromobili altamente specializzati per l’osservazione dello stato evolutivo dei ghiacci antartici. All’atto della prima osservazione la frattura contava una lunghezza di 110km, 91km di larghezza e una profondità di mezzo chilometro. Un mese più tardi si protrae in lunghezza per altri 30km.

Il distaccamento totale dell’iceberg dalla piattaforma viene annunciato il 12 luglio 2017 dai membri del progetto MIDAS. Questo è un progetto in collaborazione con la NASA per il monitoraggio della piattaforma occidentale del continente. Il rallentamento della propagazione della frattura è stato dovuto alla transizione verso la stagione invernale dell’emisfero australe, che va dal 21 giugno al 22 o 23 settembre. Una volta alla deriva A-68 aveva una superficie di circa 5800km2 e ha iniziato la sua migrazione verso le acque britanniche della Georgia del Sud, sospinto dai venti e dalle correnti oceaniche.

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Il ruolo dei ghiacciai negli ecosistemi

Esistono diversi ecosistemi per i quali ghiaccio e neve svolgono funzioni di cruciale importanza per la sopravvivenza delle comunità animali e vegetali che li abitano. Possiamo parlare ad esempio di ghiacciai e cumuli di neve, permanenti e no, che ricoprono le vette delle catene montuose o dello strato di ghiaccio che galleggia sulla superficie dei laghi freddi in inverno o appunto delle calotte polari. La superficie bianca di neve e ghiaccio influenza l’albedo terrestre, ovvero la radiazione luminosa riflessa dalle superfici, e l’approvvigionamento di acqua dolce per gli esseri viventi. I ghiacciai e le nevi delle catene montuose sono delle riserve di acqua meteorica. La loro lenta fusione, in base all’alternanza delle stagioni, genera biodisponibilità di acqua dolce per persone, animali e vegetazione che si trovano a vivere su suoli particolarmente aridi.

L’accumulo di acqua in alta quota viene detto torre d’acqua. Si stima che circa la metà dell’acqua dolce utilizzata dall’uomo sia di fatto quella immobilizzata ciclicamente sulle catene montuose. Altra funzione fondamentale è la riflessione della radiazione solare. Il colore bianco della neve e biancastro del ghiaccio fa sì che la quantità di radiazione assorbita sia minima e che quasi tutta incidente venga riflessa. Ghiaccio e neve svolgono silenziosamente la funzione determinante di termoregolatore globale.

Squilibrio dell’albedo e principali conseguenze

Uno squilibrio di tale sistema, causato dal progressivo riscaldamento degli oceani, comporterebbe per diretta conseguenza l’innalzamento del livello degli oceani. Bisogna sempre tenere a mente che si parla di variazioni dell’ordine dei millimetri o centimetri. Solo scenari apocalittici come la quasi totale fusione delle calotte polari farebbero registrare variazioni dell’ordine dei metri. Tra le conseguenze più preoccupanti:

  • stravolgimento degli ecosistemi costieri per parziale o totale sommersione, anche di piccole isole e di intere città come Venezia o Miami
  • allagamenti distruttivi delle valli ed esondazioni dei fiumi
  • riduzione di biodiversità vegetale e animale, quest’ultima dovuta alla migrazione verso acque più fredde che di fatto apre a scenari di conflitto tra specie che non si sono mai trovate in competizione
  • maggiore massa d’acqua in evaporazione dagli oceani con alterazione delle dinamiche climatiche e incremento dell’incidenza di condizioni meteorologiche estreme.
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Accordo di Parigi e target di 1,5°C

Da diverso tempo una maggior consapevolezza sull’incompatibilità delle emissioni di gas serra con la tolleranza inerziale che il pianeta può offrire, si espande a macchia d’olio tra la popolazione mondiale. Soltanto nel dicembre 2015, nella XXI conferenza delle parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) tenutasi a Le Bourget, 190 stati si sono impegnati nell’aderire a un accordo giuridicamente vincolante. Noto come Accordo di Parigi, prevede l’adozione su larga scala di misure economiche e regolamentative atte a mitigare e ridurre le emissioni di gas serra in modo da non eccedere la soglia critica di 1,5°C.

Il target fissato, se perseguito, permetterebbe di evitare gli scenari di stravolgimento climatico più drammatici. Tuttavia, l’accordo concede tolleranza ai paesi in via di sviluppo. Questi possono utilizzare combustibili fossili altamente inquinanti come il carbone, perché più economici, a patto che si impegnino ad abbandonarle il prima possibile in favore di tecnologie per una produzione energetica sostenibile.

Il monito lanciato dalla IEA

La scomparsa di A-68 è una sconfitta. Il ricorso a fonti di energia pulita e riconversione di tutti i settori verso tecnologie non inquinanti deve essere più forte. La previsione dell’International Energy Agency nel Global Energy Review circa le emissioni di CO2 previste per il 2021 è preoccupante. Gli stati di tutto il mondo stanno provando a far fronte alla crisi economica gettata da oltre un anno di pandemia. La strada economicamente più conveniente è quella di utilizzare combustibili fossili. Così le emissioni raggiungeranno 1,5 miliardi di tonnellate nel 2021, annullando di fatto la drastica riduzione nei primi mesi di lockdown totale mondiale. La richiesta di carbone nel 2021, guidata soprattutto dai paesi asiatici, supererà quella del 2019, avvicinandosi al picco registrato nel 2014. Allo stato attuale la risposta dell’uomo agli stravolgimenti ambientali è insufficiente.

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Articolo a cura di Marco FILABOZZI