L’iceberg più grande del mondo, noto con il nome di A68, si è definitivamente sciolto. L’enorme blocco di ghiaccio si era staccato nel luglio 2017 dalla piattaforma di ghiaccio Larsen C, sulla costa orientale della Penisola Antartica. Vediamo insieme il suo percorso oceanico, insieme alle cause e alle conseguenze della sua scomparsa.
L’A68 aveva iniziato il suo viaggio nell’oceano nel 2017, quando si era staccato dalla piattaforma di ghiaccio Larsen C. Inizialmente, la montagna di ghiaccio copriva un’area di 6000 km quadrati Per intenderci, stiamo parlando di un’estensione di poco superiore a quella della Liguria. Con un peso di un miliardo di tonnellate, era stato classificato come l’iceberg più grande del mondo. Oggi l’A68 si è definitivamente sciolto. Le immagini dei satelliti mostrano che l’iceberg è ormai praticamente scomparso, restano di lui solo piccoli frammenti che, secondo il National Ice Center degli Stati Uniti, non è più necessario monitorare.
L’iceberg più grande del mondo si era staccato dalla piattaforma di ghiaccio di Larson C ai margini della penisola antartica e per vari mesi non si era praticamente mosso. Dopo un anno di immobilità, l’A68 aveva poi iniziato a spostarsi verso nord, con velocità crescente, spinto dai forti venti e dalle correnti. Il blocco di ghiaccio da un miliardo di tonnellate ha dunque attraversato l’Atlantico Meridionale, per spingersi verso il territorio d’oltremare britannico della Georgia del Sud. Una volta raggiunto questo punto, il destino dell’A68 sembrava essere ormai segnato. A causa delle secche locali, infatti, molti iceberg restano intrappolati proprio di fronte all’isola, finendo poi per sciogliersi lentamente.
L’iceberg, contro ogni pronostico, è riuscito a scongiurare il destino che sembrava ormai scritto per lui. Nel novembre del 2020, infatti, l’A68 è riuscito a modificare il suo tragitto, proseguendo dunque il suo viaggio attraverso l’oceano. Tuttavia, dopo quattro anni di navigazione, anche per l’iceberg più grande del mondo è arrivata una fine. Dopo essersi spezzato in vari pezzi, ha cominciato a soccombere al progressivo innalzamento delle temperature, arrivando a sciogliersi definitivamente.
“E’ incredibile che A68 sia durato così tanto“, ha spiegato alla Bbc il professor Adrian Luckman dell’Università di Swansea, in Galles. “Se si pensa al rapporto di spessore, è come quattro fogli A4 impilati uno sull’altro”. L’iceberg era dunque un oggetto incredibilmente flessibile e fragile. Nel suo tragitto attraverso l’oceano, avrebbe potuto spezzarsi molti mesi prima. Il suo viaggio è durato quattro anni, ma alla fine si è spezzato in quattro o cinque blocchi, che, a loro volta, hanno continuato a frantumarsi. L’effetto delle temperature è diventato più forte sui nuovi frammenti, più piccoli, fino a portare al definitivo scioglimento dell’iceberg più grande del mondo.
L’analisi del percorso oceanico dell’A68 ha avuto una grande importanza dal punto di vita scientifico. Il monitoraggio del suo tragitto, infatti, ha consentito agli scienziati di analizzare più nel dettaglio le piattaforme di ghiaccio. E’ stato possibile, inoltre, studiare meglio processi come l’idrofrattura, attraverso i quali l’innalzamento della temperatura distrugge il ghiaccio.
Tutti i dati raccolti saranno utilizzati nello studio dei cambiamenti climatici, dei quali A68 non sembra però essere una vittima diretta. Il distacco dell’A68 potrebbe essere dovuto, infatti, al normale processo con il quale le piattaforme di ghiaccio si mantengono in equilibrio, liberandosi della massa in eccesso in seguito alle nevicate o all’ispessimento del ghiaccio.
Nonostante non sembrino esserci correlazioni tra il surriscaldamento globale e l’allontanamento dell’iceberg A68 dalla piattaforma oceanica Larsen C, è necessario citare altre pericolose conseguenze ambientali correlate a questo episodio. Una grande attenzione mediatica sulla deriva dell’A68 nacque quando l’enorme blocco di ghiaccio cominciò ad avvicinarsi pericolosamente ala Georgia del Sud. Il passaggio di un iceberg di quelle proporzioni, infatti, ha messo a rischio le aree dove si nutrono abitualmente le locali colonie di pinguini.
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