Sicure, conveniente, facilmente scalabili e ad alta densità di potenza. Grazie a queste caratteristiche, le batterie all’acqua di mare sembrano una promettente alternativa alle tradizionali batterie agli ioni di litio per lo stoccaggio di energia.
Una batteria è un dispositivo elettrochimico che accumula carica ed è formato, in estrema sintesi, da un catodo, un anodo, un elettrolita e un separatore.
L’elettrolita è generalmente contenuto in una miscela di solventi organici che, all’aumentare della temperatura in fase di esercizio, possono essere l’innesco di reazioni di runaway termico creando seri problemi di sicurezza. Gli unici risultati possibili sono, infatti, la produzione di sostanze tossiche e il rischio di incendi.
La ricerca sulle batterie ad acqua di mare parte dalla già nota batteria allo zinco a base d’acqua su cui aveva lavorato un team dello US Army Research Laboratory. Per quanto siano state oggetto di studio per diversi anni, questi accumulatori hanno mostrato tre difetti principali:
A causa di questi difetti questi prototipi si sono rivelati capaci di alimentare solo piccoli elettrodomestici.
Un team di ricerca della Oregon State University College of Engineering ha quindi messo a punto una batteria che presenta sì un elettrolita alternativo, sicuro, ecologico (l’acqua di mare) ma che sembra risolvere i problemi dei tentativi precedenti. La chiave di volta, per la soluzione dei difetti delle tradizionali batterie zinco-acqua di mare, è stata la nano-lega di zinco-manganese utilizzata per rivestire l’anodo. Il nuovo design, infatti, garantisce almeno 1000 ore di cicli di carica e scarica sotto corrente elevata con prestazioni stabili e senza mostrare segni di degrado.
L’uso della lega con la sua speciale nanostruttura non solo sopprime la formazione di dendriti controllando la termodinamica della reazione superficiale e la cinetica di reazione, ma dimostra anche un’altissima stabilità su migliaia di cicli in condizioni elettrochimiche difficili. L’uso dello zinco può trasferire il doppio delle cariche rispetto al litio, migliorando così la densità energetica della batteria. Il nostro lavoro mostra il potenziale commerciale per la produzione su larga scala di queste batterie.
Zhenxing Feng, ingegnere chimico coinvolto nel progetto.
Uno dei principali problemi di sicurezza delle batterie agli ioni di litio è quello del “thermal runaway”. In chimica, il thermal runaway si verifica quando una reazione esotermica (ΔHr<0) va fuori controllo: la velocità di reazione (la quantità di reagente consumato per unità di tempo e superficie/volume/massa di catalizzatore) aumenta all’aumentare della temperatura che a sua volta determina un aumento della velocità di reazione.
Un metodo semplice e comune per visualizzare le reazioni di thermal runaway è fare affidamento al Semenov Plot, tipico dei serbatoi refrigerati. La curva indicata col numero 4 rappresenta la generazione di calore dovuta alla reazione esotermica (andamento esponenziale tipico della legge di Arrhenius). Le rette A, B e C rappresentano invece la quantità di calore sottratta dai sistemi di controllo termico (andamento lineare tipico della legge di Newton).
La temperatura del fluido refrigerante è sufficientemente bassa da riuscire a controllare, in alcune circostanze, il bilancio termico del sistema. Il punto E, infatti, rappresenta un punto di equilibrio stabile. Se la temperatura aumenta, il calore sottratto dal fluido refrigerante è tale da garantire il ritorno della temperatura a valori di esercizio normali. Il punto F, invece, è un punto di equilibrio instabile. Se la temperatura cala, il sistema si porterà al punto E. Se la temperatura aumenta, però, il thermal runaway è inevitabile poiché il fluido refrigerante non è in grado di sottrarre tutto il calore generato.
Il punto di tangenza D è detto punto critico poiché calore generato e calore sottratto assumono uguale valore. La temperatura TNR cui ciò avviene è detta temperatura di non ritorno. A destra del punto D la reazione di thermal runaway è inevitabile.
La temperatura del fluido refrigerante è troppo elevata perché riesca a gestire il flusso termico.
Il surriscaldamento iniziale può essere determinato da sovraccarico, correnti elevate o temperature esterne elevate. A circa 69°C la SEI (Solid electrolyte interphase), cioè la membrana che si forma sulla superficie dell’anodo al primo ciclo di ricarica, tende a sgretolarsi e l’elettrolita, ivi contenuto, reagisce con la grafite determinando un aumento di temperatura. Quando la temperatura raggiunge i 100°C circa, i solventi organici (etilene carbonato e dimetilcarbonato) reagiscono producendo gas infiammabili come etano, metano, ecc. Questa generazione gassosa determina un aumento della pressione interna della cella. Proprio per questo le celle sono dotate di sistemi di venting.
A circa 130°C il separatore plastico inizia a fondere. Questo può mettere in contatto anodo e catodo determinando un corto circuito nella cella.
A queste temperatura è possibile che l’ossido metallico che compone il catodo possa liberare molecole di ossigeno. Se fino ad ora i gas prodotti non potevano reagire proprio per mancanza di un comburente, a questo punto ciò è possibile. A 180°C il litio inizia a fondere liberando enormi quantità di energia. Questi meccanismi possono portare la temperatura a picchi oltre i 230°C. Tra i 200° e i 300°C è l’elettrolita stesso a decomporsi generando, con le molecole già presenti, composti organici che contribuiranno all’aumento incontrollato della temperatura. A questo punto il thermal runaway è servito!
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