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5 gennaio 2021. Dopo sei anni di attesa, la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), con il via libera del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo, pubblica finalmente l’elenco delle potenziali zone che ospiteranno il Deposito Nazionale di rifiuti radioattivi. Nei prossimi mesi si aprirà la consultazione pubblica, che terminerà con la scelta definitiva del sito. La Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) insieme al progetto preliminare, è al momento consultabile sul sito del Deposito Nazionale.
In Italia sono presenti, ancora oggi, quattro siti nucleari: Latina, Garigliano, Enrico Fermi e Caorso. Queste ultime si trovano rispettivamente nel Lazio, in Campania, in Piemonte e in Emilia-Romagna. Le quattro centrali sono state definitivamente chiuse a seguito del referendum abrogativo del 1987, con il quale l’Italia ha detto no al nucleare. Lo smantellamento delle ex-centrali, da allora, ha richiesto un costante lavoro di analisi e catalogazione dei rifiuti nucleari prodotti prima della loro chiusura. Ma non solo: il decommissioning degli impianti nucleari, infatti, comprende il totale e definitivo smaltimento di qualsiasi materiale radioattivo sia in essi presente. La decontaminazione delle attrezzature prevede procedure di trasporto e stoccaggio molto lunghe e costose. In Italia, questa attività è svolta dalla Sogin, la società pubblica responsabile della gestione dei rifiuti radioattivi.
Dunque, a seguito della chiusura delle centrali nucleari italiane, è stato necessario progettare un deposito nazionale che potesse contenere definitivamente i rifiuti radioattivi degli ex-impianti di produzione. La scelta delle aree idonee ad ospitare tale deposito non è stata affatto semplice. Le zone, infatti, devono rispettare determinati criteri imposti dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e dalla Iaea (International Atomic Energy Agency). In particolare i vincoli sono principalmente di tipo ambientale: sono escluse ovviamente le aree vulcaniche e sismiche, quelle soggette a frane o inondazioni, ma anche quelle troppo vicine alla coste, o ancora situate a latitudini troppo elevate. Ci sono voluti anni, dunque, per elaborare l’elenco dei siti proposti, finalmente pubblicato e diffuso il 5 gennaio 2021.
In totale, si stima che il deposito ospiterà circa 95 mila metri cubi di rifiuti. Questo quantitativo, però, non comprende solamente le scorie provenienti dalla dismissione delle ex-centrali. Infatti, in buona parte i rifiuti provengono dal settore civile e industriale: chimico, farmaceutico, ospedaliero, diagnostico e di ricerca. In Italia, è l’ISIN a redigere annualmente un inventario dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale, classificandoli in base al livello di radioattività: bassa, media, o alta. Attualmente, l’Italia paga per lo smaltimento delle sue scorie radioattive, che vengono inviate in Gran Bretagna e in Francia.
Per la realizzazione del deposito nazionale si stima un investimento totale di circa 900 milioni di euro, che genererà oltre 4000 posti di lavoro all’anno per 4 anni di cantiere. Il deposito, che dovrebbe essere avviato nel 2025, si estenderà su un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito effettivo e 40 al parco tecnologico. La struttura del deposito sarà “a matrioska”. Saranno realizzate 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, all’interno delle quali verranno collocati dei grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati. Questi ultimi dovranno rimanere isolati per più di 300 anni.
L’elenco delle aree individuate come potenziali sedi del Deposito Nazionale è composto da 67 zone. Vediamo quali sono:
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