Effetto serra e buco nell’ozono: i refrigeranti utilizzati nei nostri frigoriferi, e non solo, non possono essere scelti a caso. Ormai oltre alle prestazioni energetiche, esistono le normative ambientali e la sensibilità al tema che impongono altri fattori da considerare. Dagli anni ’80 ad oggi, i gas refrigeranti utilizzati negli impianti sono stati perciò oggetto di cambiamenti e ricerca.
È dal 1982 che si studia e si misura il fenomeno della riduzione dell’ozono stratosferico. I responsabili di ciò sono stati ritenuti i gas clorofluorocarburi (CFC) emessi quotidianamente dalle attività umane nei paesi più industrializzati. Questi gas, reagendo con l’ozono stratosferico ne provocano la riduzione della concentrazione e perciò si parla di “buco”. I CFC sono vietati ormai dagli anni ‘90, come stabilito dal Protocollo di Montreal firmato nel 1987.
Già da allora si prevedeva anche una riduzione progressiva degli HCFC (idroclorofluorocarburi), come l’R-22, uno dei refrigeranti più utilizzati. Inizialmente pensati come sostituti dei CFC, sono stati poi vietati nel 2015 perché il loro contributo dannoso era piuttosto rilevante. Nonostante i risultati positivi ottenuti con il passare degli anni, i dibattiti e gli studi non si sono mai fermati. Anche perché è entrato in gioco il problema dell’effetto serra che ha aperto nuovi scenari.
Un primo tentativo è stata la progettazione di refrigeranti detti HFC (idrofluorocarburi) come l’R-134a, che di fatto hanno “salvato” l’ozono. Queste sostanze sintetiche infatti hanno un ODP (Ozone Depletion Potenzial) praticamente pari a zero. Si è risolto così un problema ambientale, ma se ne è creato un altro: l’aumento del riscaldamento climatico.
Infatti, la maggior parte degli HFC hanno un GWP (Global Warming Potential) che va da 1370 a 4180. Significa che questi gas intrappolano migliaia di volte più calore nell’atmosfera di una quantità equivalente di CO₂. Di fatto, si rischiava un aumento significativo dell’effetto serra. I quasi 200 paesi firmatari del protocollo di Montreal hanno concordato che non si poteva ignorare questo rischio climatico. Con l’accordo di Kigali, i paesi sviluppati si sono impegnati ad iniziare l’eliminazione graduale degli HFC dal 2019. Quelli in via di sviluppo seguiranno l’esempio tra il 2024 e il 2028.
Risolto il problema per l’ozono, si è passati a mettere in atto provvedimenti per l’effetto serra. Il 1° gennaio 2015 è entrato ufficialmente in vigore il Regolamento (UE) n. 517/2014 sui gas refrigeranti fluorurati. Esso prevede un’eliminazione graduale degli HFC in commercio, fissando gli obiettivi percentuali fino al 2030. Già dal 2015 è vietata l’introduzione sul mercato dei refrigeratori e congelatori domestici contenenti HFC con GWP maggiore di 150. Dal 1° gennaio 2020 sono vietati gli HFC per usi commerciali con GWP maggiore di 2500. Dal 2022 lo saranno anche quelli con GWP maggiore di 150. Infine, nel 2025 il phase-down si concluderà con il divieto esteso ad alcuni tipi di impianti di condizionamento.
Quindi cosa utilizzeranno i nostri frigoriferi e condizionatori? La ricerca si è concentrata sui gas a bassissimo effetto serra, che siano non tossici e poco infiammabili. Sono quindi nati gli HFO (HydroFluoroOlefine), idrocarburi fluorurati che presentano un doppio legame C=C.
Questi composti hanno una breve vita nell’atmosfera e quindi rappresentano un rischio climatico poco significativo. Alcuni di essi sono già stati utilizzati come sostituti dell’R-134a per la carica dei climatizzatori. Altri invece sono stati proposti come propellenti non infiammabili per aerosol e come agenti espandenti.
Gli HFO sono quindi la quarta generazione di gas refrigeranti fluorurati, dopo i CFC, gli HCFC e gli HFC. Attualmente sono la migliore risposta ad un mercato che chiede prodotti sicuri per gli utilizzatori e per l’ambiente. Infatti anche gli effetti sull’ozono non risultano pericolosi.
Rimangono alcune perplessità riguardo alle sostanze chimiche potenzialmente tossiche prodotte dalla dissociazione di alcuni HFO.
Un’altra opzione è usare miscele di idrocarburi come l’isobutano (R600) a e il propano (R290).
Sotto la spinta dei paesi nordici questi nuovi gas vengono sempre più impiegati in molteplici applicazioni. L’esempio più evidente è l’R600a usato in molti frigoriferi domestici in sostituzione dell’R134a. Anche l’R290 ha subito un incremento nell’utilizzo, soprattutto nei piccoli-medi impianti: banchi frigoriferi, deumidificatori e condizionatori. In questo caso i problemi da affrontare, comuni a tutti gli idrocarburi, sono l’infiammabilità e l’influenza negativa sulla qualità dell’aria.
Altro candidato è proprio la CO2. Sembra paradossale, ma il suo impiego come refrigerante produce un minore contributo all’effetto serra rispetto agli HFC che sostituisce. Potrebbe essere quindi il “migliore” tra i refrigeranti disponibili, e senza effetti sull’ozono. Per ora il suo impiego è limitato ai medio-grandi impianti industriali o edifici commerciali. Esistono però criticità dovute all’alta pressione e alla resa ad alcune temperature, che richiedono opportuni accorgimenti tecnologici.
Gli obiettivi da raggiungere secondo i promotori dell’Accordo di Kigali e la progressiva riduzione degli HFC potrebbero evitare fino a 0,5 ℃ di riscaldamento futuro. Anche se questa stima risultasse ottimistica, liberarsi degli HFC sarà un passo importante per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Va sempre ricordato che anche tecnologie di raffreddamento più efficienti possono contribuire a ridurre le emissioni. Attraverso esse e con i nuovi refrigeranti potremo quindi affiancare ai traguardi raggiunti per l’ozono anche quelli per l’effetto serra. E sarà un passo in più per la salvezza del pianeta.
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