L’ENEA, da sempre impegnata nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie, propone il brevetto di un nuovo processo automatizzato capace di recuperare i materiali utili, a prescindere dalle caratteristiche degli strati polimerici.
Le potenze installate degli impianti fotovoltaici sono in continua crescita e quello dello smaltimento dei pannelli è un tema poco affrontato. In Europa esiste, però, una stringente legislazione che disciplina lo smaltimento degli impianti fotovoltaici. In Italia, inoltre, la normativa ben orienta gli operatori del settore.
Un pannello fotovoltaico (PV) ha una vita media di 30 anni ed è un elemento piuttosto semplice da smaltire o riciclare. Le materie prime in esso contenute, infatti, sono utilizzate in differenti settori produttivi. I pannelli fotovoltaici rientrano tra i RAEE, cioè “Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche”. Il loro smaltimento è disciplinato dalla Direttiva 2012/19/EU, recepita in Italia dal D.Lgs. n.49 del 14 Marzio 2014.
La normativa cogente prevede differenti procedure in base alla taglia nominale dell’impianto. Per impianti di potenza nominale cumulata inferiore a 10 kWp non sono previsti costi di smaltimento per i proprietari e lo smaltimento smetta al produttore. Questi prendono il nome di pannelli fotovoltaici residenziali. Impianti la cui potenza nominale cumulata è superiore a 10 kWp prevedono costi di smaltimento a carico dei produttori nel caso di sostituzione e a carico del proprietario in altri casi se l’impianto è entrato in esercizio prima del 12 Aprile 2014. In caso contrario sono i produttori ad avere l’onere dello smaltimento. Questi PV prendono il nome di pannelli fotovoltaici proessionali.
La cella è il componente più importante di un modulo fotovoltaico. La più comune è quella in silicio cristallino di forma quadrata. Le celle sono connesse elettricamente tra loro, in serie, ed inserite nel laminato fotovoltaico, generalmente una stratificazione di diversi materiali.
La superficie del modulo è protetta frontalmente da vetro temperato a basso tenore di ossido di ferro ed elevata trasmittanza, resistente agli urti e agli agenti atmosferici. Il retro del modulo è costituito dal backsheer realizzato in Tedlar bianco (nome commerciale del film di polivinilfluoruro prodotto dalla DuPont). I contatti elettrici delle celle sono isolati dal vetro e dal backsheet da una pellicola di sigillante (generalmente etil vinil acetato – EVA). Qualora presente, la cornice è realizzata in alluminio anodizzato anticorrosione.
A seconda del processo produttivo, le celle al silicio si distinguono in monocristalline o policristalline.
Il disciplinare tecnico del GSE ci dice che il 65% del peso dei moduli gestiti deve essere avviato al riciclo e che almeno il 75% venga avviato a recupero. Ipotizzando di voler dismettere un impianto fotovoltaico da 3 kWp otterremmo, circa, 200 kg di vetro, 25 kg di alluminio e 10 di silicio. Questi sono, però, valori puramente teorici perché non esistono processi tecnologici capaci di gestire grandi volumi di rifiuti. Spesso, questi processi, sono soltanto sperimentazioni pre-industriali.
Enea ha però, di recente, brevettato un processo che, a basso consumo energetico e impatto ambientale, permette di recuperare i principali componenti dei PV a fine vita. Il processo consente, infatti, di separare i materiali utili come strati polimerici, contatti elettrici, celle e vetro. Il resto dei materiali viene smaltito in sicurezza.
L’AUMENTO ESPONENZIALE DEI RIFIUTI COSTITUITI DAI PANNELLI FOTOVOLTAICI A FINE VITA HA RESO ESTREMAMENTE URGENTE AFFRONTARE IL PROBLEMA DELLA LORO GESTIONE, ANCHE A FRONTE DELLE LEGGI NAZIONALI ED EUROPEE CHE IMPONGONO REGOLE SEVERE
– Marco Tammaro – responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali
L’idea alla base del brevetto ENEA per il recupero dei materiali è quella di slegare le varie componenti dallo strato di EVA. Gli strati vengono quindi strappati meccanicamente dopo un trattamento termico mirato. Il trattamento termico avviene mediante riscaldamento dei pannelli mentre questi avanzano su un nastro trasportatore. L’azione a strappo, inoltre, si presta bene all’automatizzazione di processo. Questo doppio step “automatico” permette il trattamento in continuo dei pannelli fotovoltaici risolvendo sia il problema di diverse caratteristiche degli strati polimerici (spessore e tipologia di polimeri) sia il problema dei volumi da gestire.
CON QUESTO PROCESSO SI EVITANO: IL RISCHIO DI DEGRADO DEI MATERIALI, INUTILI DISPENDI DI ENERGIA E SI RIDUCONO SENSIBILMENTE PERICOLOSE EMISSIONI GASSOSE. INOLTRE, L’IMPIANTISTICA NECESSARIA È SEMPLICE, ADATTA A UN TRATTAMENTO IN CONTINUO E ALTAMENTE AUTOMATIZZABILE, SENZA NECESSITÀ DI UN’ATMOSFERA CONTROLLATA MEDIANTE USO DI GAS SPECIFICI
Marco Tammaro – responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali
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