Il Nagorno-Karabakh è una zona del Caucaso meridionale al confine tra Armenia e Azerbaigian. Seppur riconosciuta dalla comunità internazionale come parte dell’Azerbaigian, la regione è abitata al 95% dalla comunità armena. La conseguenza è stata che, nel lontano 1994, il territorio si è autoproclamato indipendente con la creazione della Repubblica dell’Artsakh. Il conflitto va avanti da decenni, ma il 27 settembre 2020 è degenerato nuovamente.
Il governo azero ha finanziato diversi programmi di investimento assieme al Fondo SOFAZ (State Oil Fund of the Republic of Azerbaijan). Parliamo di tantissime opportunità per le imprese italiane dal settore infrastrutturale a quello energetico, passando per il campo agroindustriale, chimico, petrolchimico, dei trasporti e dell’industria tessile. Tra le aziende presenti in Azerbaigian spiccano Eni e Unicredit, insieme ad altre circa 3.000 imprese italiane. Il Ministero degli Affari Esteri stima un investimento totale di quasi 600 milioni di dollari.
Da un punto di vista economico-commerciale, nell’ultimo triennio le nostre importazioni di greggio sono quasi raddoppiate. Siamo passati dai 2,9 miliardi di euro del 2016 ai circa 5 miliardi a fine 2019. Nel 2020? L’interscambio tra i due paesi si avvicina ai 6 miliardi di euro, pari al 18 per cento del commercio estero azerbaigiano.
Gli scambi italo-azeri saranno ulteriormente favoriti dalla recente entrata in funzione del TAP (Trans-Adriatic Pipeline) che coinvolge Italia, Grecia, Albania, Turchia e non solo. Il TAP, di cui tanto si parla e si è parlato, è il gasdotto che trasporta in Europa gas naturale proveniente, appunto, dall’Azerbaijan e passante per il Nagorno-Karabakh. Il gas naturale è estratto dal giacimento offshore di Shah Deniz, al largo delle coste del Mar Caspio. la capacità stimata di estrazione e di circa 25 miliardi di metri cubi annuali di gas.
Se da una parte la produzione azera di greggio sta scemando, l’estrazione di gas naturale è più che quadruplicata negli ultimi 20 anni. Una delle più forti criticità, però, è il trasporto di tale ricchezza oltre i confini nazionali. L’Armenia non ha mai permesso il passaggio di gasdotti sul proprio territorio. Allora l’unica alternativa (pur rimanendo competitivi almeno quanto nazioni come Iran o Russia) è costruire infrastrutture che passino dall’Iran (al sud) o, meglio ancora, dalla Georgia (a nord).
Al momento non si sono registrati attacchi pesanti in punti strategici per il trasporto di combustibili fossili, ma un rapporto di SACE evidenzia come le pipeline che corrono vicino al confine con l’Armenia risultino un obiettivo sensibile. Parliamo di meno di 10 miglia, quindi facilmente raggiungibili da missili o da droni.
Un danno alle infrastrutture energetiche si ripercuoterebbe di conseguenza sulle multinazionali attive nel settore, tra cui la nostra SNAM o la British Petroleum. Queste ultime hanno investito decine di miliardi di dollari.
A questo punto non ci resta che aspettare ed osservare come va a finire la situazione già molto delicata in Nagorno-Karabakh. Infrastrutture a parte, si contano già centinaia di morti e interi villaggi e cittadine distrutti.
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