Le celle a combustibile (fuel cell) sono dispositivi eroganti elettricità fintanto che si riforniscono di combustibile. Di solito, ma non necessariamente, quest’ultimo e’ idrogeno. La differenza decisiva rispetto agli altri apparecchi elettrici consiste nel fatto che questi sistemi producono energia elettrica in autonomia. Lo sviluppo di tale tecnologia può essere in futuro una valida alternativa su larga scala ai carburanti di origine fossile.
L’idrogeno è largamente presente nella crosta terrestre come composto, in particolare come acqua (il suo ossido, H2O) e sotto forma di carburi (idrocarburi). La forma elementare H2 è praticamente assente in natura a causa della sua instabilità termodinamica in ambiente ossidante, producendo solo acqua.
Quindi, per utilizzare l’idrogeno come combustibile, deve essere sintetizzato. Perciò non è ritenuto una fonte di energia (come il gas naturale, il petrolio e il carbone), bensì un vettore energetico.
Tuttavia, può essere considerato il carburante ideale. Infatti, può essere prodotto con un’elevata purezza e l’acqua è il solo prodotto dalla sua combustione secondo la reazione
H2 + 1⁄2 O2 → H2O
In realtà, se questa reazione viene eseguita utilizzando l’aria come agente comburente, gli ossidi di azoto (NOx) possono essere prodotti dalla reazione degli altri componenti dell’aria stessa secondo la reazione N2 + O2 ⇔ 2NO, che è rilevante ad alte temperature (ca 1000-1200 ° C).
L’aria è infatti composta per il 78,09% da azoto (N2), il 20,9% da ossigeno (O2), lo 0,93% da argon (Ar) e lo 0,04% da anidride carbonica (CO2), più altri componenti in quantità minori.
Al contrario, i combustibili fossili di carbonio, bruciando, producono CO (un forte veleno), CO2 (un gas serra), ossidi di zolfo (componenti delle piogge acide, formati da impurità di zolfo), polvere e NOx.
Le potenzialità dell’uso dell’idrogeno come combustibile sono molto rilevanti in particolare in relazione allo sviluppo di celle a combustibile alimentate a idrogeno. Questi dispositivi consentono la conversione diretta dell’energia rilasciata dall’ossidazione dell’idrogeno in acqua in energia elettrica, senza passare attraverso il calore e l’energia meccanica. Le celle a combustibile sono celle elettrochimiche. Sono energeticamente estremamente efficienti (di gran lunga più di qualsiasi altro dispositivo di produzione di energia elettrica) e molto rispettose dell’ambiente, ma comunque affette da problemi di durata.
Esistono diversi tipi di celle a combustibile in sviluppo. Quelle usate sperimentalmente nelle “auto a idrogeno” sono le cosiddette PEMFC (Polymeric Electrolyte Membrane Fuel Cells), il cui elettrolita è una membrana polimerica costituita da un polimero perfluorurato contenente gruppi di acido solfonico. La membrana è un polimero a scambio cationico, stabile solo fino a circa 120 °C, e consente la diffusione del protone.
Anodo e catodo sono costituiti da nanoparticelle di platino miscelate con carbonio per garantire la conduzione elettrica. All’anodo l’idrogeno viene ossidato a protoni:
H2 → 2 H+ + 2e–
I protoni H+ si diffondono nell’elettrolita al catodo, dove l’ossigeno viene ridotto in acqua:
1⁄2 O2 + 2H+ + 2e– → H2O
Così la reazione di ossidazione dell’idrogeno si realizza per via elettrolitica:
H2 + 1⁄2 O2 → H2O
Per le applicazioni in stazioni fisse di grandi dimensioni, le celle a combustibile a ossido solido (SOFC – Solid Oxide Fuel Cell) sono le più promettenti, come descritto in un nostro precedente articolo ad esse dedicato. In questo caso l’elettrolita è la zirconia (ZrO2) stabilizzata dall’ittrio (YSZ, zirconia stabilizzata dall’ittrio). In questo caso gli anioni di ossido si diffondono nell’elettrolita e, per consentire la diffusione ionica, sono necessarie temperature elevate.
L’anodo è il Nickel, il catodo è a base di Lantanio-Stronzio-Manganite, LSM = La1-xSrxMnO3.
La reazione che avviene all’anodo è la seguente: H2 + O2- → H2O + 2e–
Al contrario, al catodo invece si ha:
½O2 + 2e– → O2-
Operando mediamente tra gli 800 e i 1000 gradi °C, i gas residui possono essere usati per alimentare una o più turbine a gas, con l’effetto di aumentare l’efficienza energetica dell’impianto. In questi sistemi ibridi, denominati dispositivi CHP (combined heat and power), l’efficienza può raggiungere anche punte del 90%.
Un gran numero di singole celle viene messo in serie per produrre una tensione utile formando uno “stack”. Questo viene fatto utilizzando piastre dipolari all’interno delle cellule e piastre terminali alla fine. È possibile assemblare più pile, per produrre generatori di diverse dimensioni. In pratica, sono necessarie alcune centinaia di cellule.
Il MEA, (Membrane Electrode Assembly), membrana collegata agli elettrodi, è il nucleo centrale della cella PEM. Ai lati i GDL, (Gas Diffusion Layers), strati di materiale conduttore poroso, consentono la diffusione dei gas per sollevare gli elettrodi. Le piastre bipolari sono realizzate in grafite con fori per consentire il flusso dei reagenti e dei prodotti, compreso il flusso di calore. Le guarnizioni, realizzate in materiali polimerici, provvedono alla separazione dei gas anodici e catodici. Su entrambi i lati del camino, i collettori metallici di corrente raccolgono solo la corrente e il potenziale complessivo. Nella cella termodinamica, E0 ~1,2 V viene misurato quando la corrente non scorre. Durante il funzionamento il potenziale effettivo è 0,7-0,8 V con ampiezza di corrente 300-800 mA / cm2.
Quando applicato alle auto, il sistema PEMFC / motore elettrico permette un grande miglioramento dell’efficienza e una forte diminuzione dei consumi, con un impatto ambientale a zero emissioni.
Tuttavia, diversi problemi fondamentali orbitano attorno a questa tecnologia. I primi riguardano la scarsa durata di vita della singola batteria e i elevati costi. Essa è infatti soggetta alla corrosione degli elettrodi con un conseguente deperimento della cella stessa. La ricerca si sta concentrando su nuove tecniche di produzione più economiche con l’obbiettivo di avvicinarsi a una soglia di vita complessiva di 5000 ore.
A tal proposito, Il Fuel Cell e Green Energy Lab dell’Università di Waterloo ha revisionato il sistema.
L’idea consiste nell’adozione di più pile per veicolo che eroghino una diversa ma costante quantità di elettricità. In tal modo si riduce il numero di commutazioni on-off, salvaguardando l’impianto.
Un’altra difficoltà risiede nel trovare la migliore soluzione per immagazzinare l’idrogeno nei veicoli, come gas compresso, come liquido o assorbito in solidi. Un nostro precedente articolo vengono espone le varie tecniche.
Articolo a cura di Enrico GALVAGNA
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