“Se il bioetanolo di prima generazione mangia l’agricoltura, noi cosa mangeremo?”. Questa è la domanda etica che si pongono numerosi ingegneri e scienziati in merito all’utilizzo dell’amido di mais per la produzione di bioetanolo di seconda generazione. Quest’ultimo è, infatti, l’innovativo e discusso carburante che potrebbe ipoteticamente sostituire gli inflazionati prodotti petroliferi.
In un mondo in cui la crescita demografica e l’insufficienza di cibo sono problemi cardine, ha senso utilizzare un alimento per produrre energia? La soluzione più avvalorata consiste nella coltivazione di mais transgenico, non utile all’alimentazione umana e caratterizzato da un’estrema adattabilità a quote elevate e da ridotte necessità di irrigazione. Tra gli altri, il consumo di acqua è un grande problema di natura economica ed etica.
Le coltivazioni di mais transgenico richiedono porzioni di terreno molto estese. L’adattabilità di queste piante ha suggerito l’idea di abbattere ettari di foreste, anche in territori montani, per soddisfare il fabbisogno di terreni coltivabili. Questa opzione, tuttavia, genera un ulteriore problema ecologico riguardante la produzione di CO2: il land use change effect.
Anche se trascurassimo gli effetti immediati che derivano dall’abbattimento degli alberi:
la più grande fetta di emissioni di anidride carbonica deriva proprio dall’assenza degli alberi, che non potranno più contribuire allo stoccaggio della CO2.
Un’altra soluzione consiste nell’impiego di materie di scarto agricole per la produzione del bioetanolo di seconda generazione, estraendone la cellulosa. Tuttavia, fatta esclusione per alcune ricerche all’avanguardia, tra l’altro presenti anche nel nostro Paese, i relativi processi non sono ancora competitivi sotto il profilo tecnico ed economico per essere applicati su scala mondiale.
Le caratteristiche strutturali dei materiali a composizione cellulosica fanno aumentare il costo del processo di idrolisi rispetto all’equivalente processo per l’amido. In particolare, la presenza di legami ad idrogeno nella struttura della cellulosa genera domini cristallini che la rendono più difficilmente idrolizzabile.
Attualmente, il rendimento di cellulosa attraverso le tecnologie più sofisticate come la steam explosion, non supera il 15%. Inoltre, la purificazione della cellulosa ottenuta è un processo ancora più complesso, perché l’attacco acido estrae numerosi componenti tossici per la biomassa.
Articolo a cura di Emiliano ANGELUCCI
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