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Coronavirus: un forte segnale dei cambiamenti climatici

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fonte: pixabay.com

Avevamo già discusso l’influenza dell’inquinamento sulla diffusione del coronavirus. La correlazione tra Covid-19 e cambiamenti climatici è sempre più chiara. A dirlo ormai sono numerosi esperti in molteplici studi.

“La natura ci sta inviando un messaggio con la pandemia e la crisi climatica in corso”

Andersen, Capo dell’Ambiente delle Nazioni Unite

Andersen ha affermato che l’umanità stava esercitando troppe pressioni sul mondo naturale con conseguenze dannose e ha avvertito che non riuscire a prendersi cura del pianeta significava non prendersi cura di noi stessi. Lo riporta un articolo di “The Guardian”.

La distruzione di habitat e coronavirus

L’ISDE (Internation Society of Doctors for Environment) riporta che, da un reportage del WWF, la distruzione degli habitat naturali è cruciale per la nascita e diffusione di agenti patogeni. La deforestazione, messa in atto dall’uomo, rompe gli equilibri ecologici e crea condizioni favorevoli alla diffusione di virus, come il coronavirus. La loro distruzione può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano.

Molti studi annoverano tra le cause di diffusione di virus anche l’abuso di antibiotici (negli animali e nell’ambiente). Causa presa in considerazione anche per l’attuale pandemia di coronavirus. Ricordiamo che negli ultimi 20 anni, prima del Covid-19, si sono susseguite le epidemie di SARS (2003), H1N1 (2009), MERS (2012) ed EBOLA nel 2014. Non sono dati rassicuranti per gli esperti: non si esclude che possano scoppiare sempre più frequentemente nuove epidemie.

Aumento delle temperature e coronavirus

Il riscaldamento globale certamente influenza l’emergere di virus. Secondo Giuseppe Miserotti (ISDE), i picchi di SARS e influenza aviaria si sono verificati in corrispondenza di picchi di temperature di almeno 0.6 e 0.7 °C oltre la media. Sarebbe interessante confrontare i dati nel caso dell’epidemia di coronavirus.

Anche il conseguente scioglimento dei ghiacciai e del permafrost costituisce un fattore di rischio per eventuali diffusioni di agenti patogeni. Emblematico il caso di antrace in Siberia, nel 2016. Secondo BBC Earth, 75 anni prima, una renna infetta da antrace morì e la sua carcassa congelata rimase intrappolata nel permafrost. Lì rimase fino a un’ondata di caldo nell’estate del 2016, quando il permafrost si scongelò.

Era prevedibile un’epidemia?

Nel 2007, uno studio publicato dall’American Society of Microbiology afferma che “la presenza di un grande serbatoio di virus simili a SARS-CoV nei pipistrelli, insieme alla cultura del consumo di mammiferi esotici nel sud della Cina, è una bomba ad orologeria. La possibilità del riemergere della SARS e di altri nuovi virus da animali […] non dovrebbe essere ignorata.“.

Quasi profetiche le parole dei ricercatori, oltre che estremamente attuali. L’interconnessione uomini-natura è inevitabile, e una crisi ambientale porta inevitabilmente a una crisi riguardanti la salute umana.