CARBFIX: il progetto che sotterra la CO2 e la trasforma in roccia
Articolo a cura di Gian Marco VOLPONI
La temperatura media globale è 0,85 °C più alta rispetto alla fine del diciannovesimo secolo. Gli scienziati ritengono che un aumento di due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali possa avere conseguenze catastrofiche sia sul clima che sull’ambiente. Durante la conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. Tra gli obiettivi condivisi c’è la riduzione dei gas serra.
I governi aderenti all’accordo hanno preso l’impegno di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali. In Islanda il progetto Carbfix potrebbe costituire una piccola rivoluzione nella lotta al cambiamento climatico. Vediamolo più nel dettaglio.
Il progetto Carbfix
Nel 2007 l’azienda che gestisce la centrale geotermica di Hellisheidi, la Reykjavik Energy, ha avviato un consorzio di ricerca insieme alla Columbia University e alle università islandesi e danesi. Lo scopo è di trovare il modo di ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) derivanti dalle attività della centrale. Lo strumento è il progetto Carbfix. Un processo industriale che studia la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica (CO2) ed altri gas emessi dalla centrale geotermica di Hellisheidi.
La chimica di Carbfix
Il progetto sfrutta le reazioni chimiche spontanee che si innescano quando l’anidride carbonica entra in contatto con il basalto. Una roccia scura di origine vulcanica ricca di calcio (Ca), ferro (Fe) e magnesio (Mg). In presenza di acqua, il gas precipita formando un minerale biancastro. Per ottenere le reazioni è importante avere a disposizione enormi quantità di acqua nelle quali poter mescolare la CO2 e gli altri gas. 25 tonnellate per ogni tonnellata di CO2.
L’innovazione di Carbfix
I principali metodi di cattura e stoccaggio (CCS, Carbon Capture and Storage) prevedono di iniettare direttamente nel sottosuolo la CO2 senza utilizzo di acqua.
Tra il 2012 e il 2013 i ricercatori hanno iniettato nel sottosuolo circa 250 tonnellate di CO2. Nel 2014, grazie all’utilizzo di pozzi di esplorazione, sono riusciti a misurare i cambiamenti nella composizione isotopica dell’acqua. Così, hanno dimostrando che molto del carbonio era mineralizzato in pochi mesi. Le reazioni sfruttate sono note da tempo, ma nessuno conosceva la durata del processo applicato allo stoccaggio della CO2. Basti pensare che alcuni studi ipotizzavano che potesse richiedere centinaia o migliaia di anni. Per esempio, Edda Aradottir, responsabile del progetto per Reykjavik Energy, aveva stimato che il processo di solidificazione sarebbe durato tra gli otto e i dodici anni