Golfo del Messico, 2004. L’uragano Ivan, per intensità l’88° mai registrato nell’Atlantico, danneggia gravemente una piattaforma petrolifera a 20 km dalla costa della Louisiana. Da quella catastrofe, litri di petrolio fuoriescono ogni giorno dall’intricata rete di tubi sottomarina.
15 anni. È questa la durata di questa catastrofe a cui non sembra possibile porre rimedio. Taylor Energy, società proprietaria della piattaforma, si è subito impegnata a porre rimedio e su 28 trivelle, 6 furono chiuse in un solo anno. Nel 2005 però, gli uragani Katrina e Rita impedirono il proseguimento dei lavori.
Nel 2008 Taylor Energy, che nel frattempo ha venduto tutti i propri beni e non è più operativa, in risposta ad un’ordinanza federale che gli imponeva di continuare i lavori afferma: “solo 15 litri di petrolio al giorno”. “Perlopiù per cause naturali” aggiunge.
Un gruppo di scienziati appartenenti al National Centers for Coastal Ocean Science (NCCOS), gruppo di ricerca del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha di recente pubblicato un report in cui analizza la situazione attuale nel Golfo del Messico.
Nello studio viene calcolata l’entità attuale dello sversamento di petrolio. Ciò fatto anche attraverso misure della concentrazione di idrocarburi e l’individuazione dei percorsi che gli stessi seguono.
Secondo quanto affermano questi scienziati, la perdita attuale ammonta a 108 barili di petrolio al giorno, cioè ben 17000 litri di petrolio al giorno.
È proprio a giugno di quest’anno che l’amministrazione Trump, attraverso l’Environmental Protection Agency (EPA), aveva promosso nuove regole, meno stringenti sulle emissioni di CO2 e sulla tutela ambientale in generale. Già difficile nel passato, da oggi in poi sarà più complesso tenere sotto controllo le attività degli estrattori di petrolio e limitare eventi del genere.
Ci auguriamo, calorosamente, che questa emorragia venga presto fermata. Speriamo che il “responsabile” paghi, per il bene dell’ecosistema marino.
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