La Siberia non è nuova ad incendi durante i periodi estivi. Tuttavia quello che sta accadendo in queste settimane nella foresta russa non ha precedenti. Le fiamme sono iniziate a Giugno, dovute molto probabilmente ad un’estate precocemente calda e secca.
Uno studio dell’Amministrazione Oceanografica e Atmosferica degli Stati Uniti ha registrato le temperature più alte di sempre a livello mondiale. Ma se nelle nostre città le temperature sono state, e continuano ad essere insopportabili; le temperature delle zone del Nord del mondo sono state anche 10 gradi maggiori rispetto alle medie registrate tra 1981 e 2010. Il caldo porta siccità, e quindi incendi naturali delle foreste, probabilmente scatenati da fulmini.
Al momento – purtroppo – la situazione è tragica. Secondo Greenpeace Russia, infatti, il disastro ha superato i 4,5 milioni di ettari di foresta. Parliamo di un’area pari alla Pianura Padana completamente ed inesorabilmente a fuoco o in cenere.
Associazioni e diversi governi hanno puntato il dito sugli amministratori russi che – presumibilmente – non sono intervenuti in tempo per domare le fiamme iniziali. Gli incendi sono partiti da zone remote e inizialmente lontane tra loro. Dopo settimane, si parla di più di 400 incendi, cominciati dalla zona di Krasnoyarsk, nella Grande foresta del Nord della Siberia.
Il 31 luglio, dopo insistenze internazionali, ed una petizione che ha raccolto più di ottocentomila firme in pochissimo tempo, il presidente Vladimir Putin ha mandato l’esercito per cercare di domare le fiamme. Sarà troppo tardi? Spegnere incendi che hanno raggiunto dimensioni così pantagrueliche in regioni dotate di poche infrastrutture, prime tra tutte le strade, è compito arduo, se non impossibile.
Gli effetti dell’inferno in corso nel nord della Russia non porteranno solamente ad una diminuzione della vegetazione nella foresta, completamente rasa al suolo. Sono state emesse in atmosfera, infatti, più di 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Per non parlare del monossido di carbonio e di altri centinaia di inquinanti (la maggior parte ricollegabili all’effetto serra) che stanno ricoprendo vastissime aree della Siberia fino all’Alaska e al Canada. Pochi giorni fa sono state anche scattate foto dell’Agenzia Spaziale Europea, in cui è possibile capire l’enorme disastro.
Un terzo, ma non meno importante, effetto di tanta distruzione è la produzione del «black carbon», o neve nera. Trattasi di particelle di colore scuro, generate dalla combustione incontrollata, che potrebbero depositarsi sul ghiaccio dell’Artico. Così facendo, ghiaccio e neve cambierebbero colore, e si ridurrebbe il potere riflettente (o albedo); aumentando invece il potere assorbente di calore, e quindi lo scioglimento. Per ripristinare l’ecosistema distrutto ci vorranno perlomeno 20 anni dicono gli studi. Ma ancora non è finita…
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