Nella Bassa Sassonia, tra Amburgo e Hannover, in alcune miniere di sale, all’inizio degli anni ’70 sono stati versati ben 126mila fusti di materiale radioattivo proveniente dalle centrali nucleari tedesche. Ma 40 anni dopo, questa scelta si è tramutata in una grave minaccia nucleare. Infatti, la miniera rischia di collassare a causa di alcune infiltrazioni di acqua salata che hanno raggiunto e iniziato a corrodere i fusti.
Questo è solo uno degli esempi, di come nonostante l’avanzamento tecnologico raggiunto in questo decennio, non ci siano per ora strategie di stoccaggio definitivo. E se si optasse per una soluzione drastica già ipotizzata da Caparezza in un suo pezzo del 2008? Ovvero. E se li lanciassimo nello spazio? O meglio. E se li mandassimo a fondere direttamente dentro il sole? Personalmente direi che è un’idea folle, ma se voi avete qualche dubbio eccovi tre ragioni per cui non possiamo (ancora) intraprendere questa strada per il loro smaltimento.
È stato stimato che il lancio di materiale su una navetta spaziale costa circa 22.000 $/kg. Anche se gli ingegneri potessero abbassare i prezzi di un fattore 10, considerando che ogni anno, all’interno delle centrali nucleari vengono prodotte 12000 tonnellate di High Level Waste, ovvero quelle scorie più radiotossiche, i costi per lanciarli nel sole ammonterebbero a circa 30 miliardi di dollari. Questa cifra è addirittura più alta del budget annuale della NASA che è stato riportato essere di 21.5 miliardi di dollari.
Considerando l’enorme quantità di rifiuti da lanciare, sarebbero necessari centinaia di lanci ogni anno, quasi uno al giorno, ma attualmente esistono solo 25 spazioporti o cosmodromi nel mondo, come la Cape Canaveral Air Force Station negli Stati Uniti e il Cosmodromo di Bajkonur in Kazakistan di amministrazione russa, con una capacità molto minore di quella necessaria. Per esempio, il Centro spaziale guyanese, sito a Kourou nella Guyana francese, sede del principale centro di lancio europeo di missili spaziali, usato per i razzi Ariane e Vega dell’ESA e il lanciatore Sojuz, ha una capacità di soli 6-7 lanci all’anno. Inoltre, le attuali tecnologie non consentono di raggiungere percentuali di successo di lancio del 100 %, quindi il rischio di esplosioni sarebbe troppo elevato, costringendo a blindare i rifiuti pericolosi con metalli pesanti. Questa precauzione incrementerebbe fortemente il peso del razzo e quindi il costo della missione.
Per sfuggire alla gravità terrestre e per annullare l’energia cinetica dovuta alla sua rotazione, in modo tale da permettere al razzo carico di scorie nucleari di dirigersi verso il sole sarebbe necessaria un’elevatissima quantità di energia e il raggiungimento di una velocità uguale a quella della terra (30 Km/s). Sfortunatamente, i razzi spaziali attuali possono raggiungere velocità di circa 10 Km/s, che non sono sufficienti a dirigersi verso il sole ma solo ad allontanarsi dal nostro sistema solare. Esempi ne sono le sonde Voyager 1 e Voyager 2 che per prime hanno esplorato il sistema solare esterno.
Per buona pace dei più “audaci”, è quindi impossibile, allo stato attuale delle cose, inviare le nostre scorie nucleari nel sole, sia dal punto di vista economico che tecnologico, ma anche scagliarle nello spazio profondo come “Monumento post-cubista alle memorie del 20° secolo” sembrerebbe sconsigliabile, a meno che non vogliamo far ritrovare le nostre future generazioni alle prese con un asteroide composto dai nostri rifiuti come è successo ai protagonisti di Futurama.
Per chi volesse approfondire, date un’occhiata al video:
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