La tecnica XRD (X-ray diffractometry o diffrazione dei raggi X) è probabilmente lo strumento diagnostico più potente per identificare la struttura di materiali incogniti. Pur non fornendo dirette informazioni sulla composizione elementare, essa permette di definire le fasi cristalline presenti in un campione incognito e la loro struttura tridimensionale.
Inoltre è applicabile ad ogni tipo di materiale, organico o inorganico, monomerico o polimerico, purché cristallino, il che comprende circa il 95% di tutti i materiali solidi. Mediante questa tecnica analitica si registrano le radiazioni X diffratte da materiali cristallini, cioè̀ aventi struttura ordinata.
Ogni materiale produce uno spettro di diffrazione che ne costituisce un’impronta digitale rendendo possibile l’identificazione di un materiale incognito per confronto con una libreria di spettri di sostanze note.
Questa tecnica si basa sulla diffusione (scattering) coerente della radiazione X da parte di centri diffusori distribuiti spazialmente in modo regolare (come avviene in un materiale cristallino) con distanze dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda (λ) della radiazione utilizzata.
La condizione di interferenza costruttiva tra i raggi X diffusi dai piani atomici di un cristallo è descritta dalla legge di Bragg:
2∙d∙senϑ = n∙λ
Dove n è l’ordine di diffrazione; λ la lunghezza d’onda della radiazione incidente; d la distanza interplanare tra due piani reticolari e ϑ l’angolo di incidenza formato dalla direzione dei raggi X e dalla famiglia di piani come mostrato in figura.
La diffrazione dei raggi X non è una tecnica di analisi di superficie, in quanto sia il fascio incidente che quello riflesso sono costituiti da fotoni, che quindi presentano, rispettivamente, una profondità di penetrazione e una profondità di fuga elevate; in compenso il danneggiamento del campione è trascurabile.
Un tipico spettro di diffrazione è costituito da una serie di riflessi, contraddistinti ognuno da una propria intensità, ampiezza e posizione (quest’ultima espressa come 2ϑ, ovvero la somma dell’angolo di incidenza e di quello di raccolta formati dal fascio incidente con la superficie del campione).
Determinando la posizione e l’intensità dei riflessi e confrontandole con quelle di spettri di riferimento è possibile identificare il tipo di materiale, le varie fasi cristalline che lo compongono e il suo eventuale orientamento preferenziale. Di seguito, è riportato lo spettro tipico dell’ossido di zinco.
L’ampiezza di un riflesso può essere invece correlata alle dimensioni dei cristalliti, tramite la formula di Scherrer:
D = K ∙λ∙ ∆ω∙cosθ
Dove D è il diametro medio dei cristalliti; K è un fattore dipendente dalla forma delle particelle (è pari ad uno per cristalliti sferici); λ la lunghezza d’onda della radiazione incidente; ∆ω l’ampiezza a metà altezza del picco (FWHM, Full Width at Half Maximum) e θ = (2θ)max⁄2, dove (2θ)max è la posizione del picco. La formula di Scherrer si applica in genere al riflesso più intenso. Tuttavia, in alcuni spettri di diffrazione, in prossimità del riflesso principale cadono altri riflessi di intensità paragonabile e difficilmente risolvibili. In questi casi è necessario introdurre nell’equazione di Scherrer i dati relativi ad un riflesso sufficientemente intenso e riconducibile con certezza ad un’unica fase.
In conclusione, la diffrazione dei raggi X si rivela un potentissimo strumento se affidato a mani competenti, in quanto permette sia l’individuazione di un composto o di un miscuglio di composti sia la valutazione anche se approssimativa delle dimensioni nanometriche dei cristalliti, misura possibile utilizzando solo dei potentissimi microscopi.
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