Negli ultimi anni abbiamo assistito alla rivoluzione introdotta dai modelli di intelligenza artificiale (IA). Essi sono impiegati in un’ampia varietà di settori come la robotica, la medicina, i mercati azionari, gli assistenti vocali, i videogiochi, la domotica, i sistemi di raccomandazione (il sistema che filtra contenuti/prodotti sulla base delle specificità del cliente consigliandogli quelli più adatti, come avviene su Netflix ad esempio), ecc.
È possibile immaginare un parallelo tra “l’industria” dell’Intelligenza Artificiale e il settore della raffinazione del petrolio. I dati infatti, una volta “minati” (il termine deriva dall’inglese “to mine”, in italiano “estrarre”) e “raffinati” sono un prodotto ad elevato valore aggiunto. Il parallelo si completa quando si guarda all’impatto ambientale: incredibilmente ed inaspettatamente (ndr) alto quando si parla di training di una AI.
Un gruppo di ricercatori americani, della University of Massachusetts, Amherst, ha quantificato l’impatto ambientale legato al processo di training di una intelligenza artificiale. Questo gruppo di ricercatori ha analizzato la carbon footprint legata ad una delle applicazioni in cui le intelligenze artificiali trovano terreno particolarmente fertile, quella del Natural Language Processing (NLP): essa consiste, in sintesi, nel trattamento automatico di informazioni, scritte o parlate, in un linguaggio naturale.
La carbon footprint legata al training di una IA con architettura Transformer arriva ad essere pari a cinque volte quello dell’intera lifetime di un veicolo tradizionale. Il dato su cui più riflettere è però, a mio parere, un altro. Il processo di costruzione e testing di un modello che fa da base ad una pubblicazione scientifica (NLP pipeline w/ tuning & experimentation, in figura) emette, in generale, circa 36000 kg di CO2 equivalente (nello studio questa quantità di CO2 equivalente è prodotta in un arco temporale pari a sei mesi). L’ordine di grandezza di questo numero è di per sé eloquente, ma acquisisce maggiore impatto se si pensa alla quantità di ricerca che viene condotta nel settore dell’IA.
In sintesi, i principali motivi di questa carbon footprint sono da legare all’elevata potenza computazionale necessaria all’addestramento e al testing, al consumo energetico ciò dovuto e alla necessità di hardware dedicato per queste applicazioni.
È vero, le IA hanno fornito e forniscono un grande aiuto nei molti campi in cui trovano applicazione ma, la prossima volta che esclamiamo “Ehi Siri” oppure “Ok Google” o “Alexa”, ricordiamoci che non lo facciamo a costo ambientale nullo.
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