Articolo a cura di Elisa OLIVERIO
A partire dagli anni ‘70, in risposta alla crisi petrolifera, si è cercato di trovare un’alternativa al metano derivante da fonti fossili. Tra le molteplici alternative si è fatto largo l’utilizzo delle biomasse. Grazie alla grande disponibilità, si prestano bene ad essere impiegate nel settore energetico. La filiera del biogas utilizza tecnologie a basso impatto ambientale ed è alimentata da materie prime di origine locale, evitando quindi l’inquinamento derivato dai trasporti.
In Italia, una buona parte del mercato del biogas ha origine da effluenti di allevamento. Essi sono tutti adatti alla digestione anaerobica. Processo per cui il carbonio (C), presente nella sostanza organica in ecosistemi privi di ossigeno, è convertito in metano (CH4) e anidride carbonica (CO2). Questo grazie all’attività di alcuni gruppi microbici adattati a queste condizioni.
Il motivo principale che rende i residui zootecnici una risorsa è che sono prodotti di scarto. Il loro costo di approvvigionamento quindi è vicino allo zero. Di conseguenza, l’impianto per la produzione del biogas risulta essere molto più “compatto” rispetto ad altre biomasse. Anche a fronte di una bassa efficienza di estrazione di biometano l’investimento impiantistico rimarrebbe comunque vantaggioso.
Esistono un’infinità di configurazioni diverse che si adattano ad ogni esigenza. Per le deiezioni animali si utilizzano principalmente impianti monostadio o al più bi-stadio. La seconda configurazione, sebbene più onerosa dal punto di vista impiantistico, garantisce che il prodotto venga digerito completamente grazie ai tempi di permanenza più lunghi.
Dopo che i reflui sono stati opportunamente pre-trattati, vengono inseriti dentro quello che viene chiamato digestore primario. Esso è riscaldato internamente da dei fasci tubieri in cui avviene una prima parte di fermentazione. Solitamente vi sono pale che mantengono in continuo movimento la massa per agevolare la flora batterica e per mantenere la temperatura costante.
Dopodiché la biomassa passa in un secondo digestore, in cui continua il processo di metanizzazione. Il tempo di permanenza nei digestori varia in base al tipo di biomassa così come in base alla temperatura. Nella configurazione classica il gas prodotto viene stoccato nel gasometro posto al di sopra del digestore. Esso è composto da due membrane separate da aria in modo da isolarlo al meglio dall’esterno. Da qui la maggior parte passa per il desolforatore e finisce in un cogeneratore che produce energia elettrica per le utenze ed energia termica per riscaldare i tubi nel digestore e, se in eccesso, viene impiegata per il teleriscaldamento.
In caso di sovraproduzione di metano, si potrebbe causare un’eccessiva pressione sulla membrana e viene quindi mandato al bruciatore. Infine il prodotto digerito dalla metanizzazione, detto digestato, può essere impiegato come compost dopo una attenta purificazione da agenti inquinanti quali l’azoto.
Negli ultimi anni l’Italia sta prendendo sempre più consapevolezza della potenzialità degli impianti a biomasse. Il mercato del biogas in particolare sta crescendo rapidamente spinto dalla sensibilizzazione verso le problematiche di impatto ambientale. Ed è da considerarsi un’ottima soluzione per sfruttare l’economia circolare.
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