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E se a salvarci fosse… un’arancia?

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Articolo a cura di Flavio FEDERICI

La “circular economy” è uno dei temi più caldi del momento. L’idea di utilizzare scarti come materie prime ha catturato l’attenzione di molti esperti per ridurre in maniera intelligente i costi. Ma soprattutto per eliminare la mole di rifiuti generati. In un contesto di questo tipo, quale legame c’è fra un’azienda produttrice di succhi di frutta ed un centro di ricerca medico?

I polifenoli

La risposta è da ricercarsi in quella classe di composti denominati polifenoli. Queste molecole sono presenti in natura negli strati più esterni dei tessuti vegetali delle piante, svolgendo una serie di compiti per lo più protettivi.

Ad esempio, i polifenoli permettono:

  • la riduzione degli ioni di metalli pesanti assorbiti dal terreno (dannosi in forma ionica, molto meno se portati in forma neutra) e
  • la riduzione dei radicali liberi che si formano sulla superficie delle piante stesse a causa dell’esposizione ai raggi UV provenienti dal sole.

Molte delle industrie operanti nel settore alimentare producono diverse tipologie di scarti che contengono una grande quantità di polifenoli che possono essere recuperati. Dalle bucce dei prodotti ortofrutticoli fino ai fondi del caffè.

Istruzioni per l’uso

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L’estrazione dei polifenoli a partire da scarti agroalimentari è realizzata grazie all’impiego di un solvente fatto da una miscela di acqua ed etanolo. Impiegando esclusivamente sostanze biocompatibili, è stato possibile sviluppare una serie di tecnologie che hanno portato a risultati notevoli soprattutto nel settore biomedico. Le sperimentazioni più significative sono state fatte nel campo della produzione di nanoparticelle d’argento, volendo sfruttare sia le dimensioni molto ridotte, che le proprietà antibatteriche dell’argento.

Partendo da una soluzione di nitrato d’argento (sale acquistabile a basso costo), i polifenoli riducono gli ioni Ag+ (provenienti dal sale) ad Ag, ed allo stesso tempo stabilizzano le particelle formatesi, evitando la loro coagulazione. Seguendo una procedura di questo tipo, le nanosfere d’argento potrebbero essere funzionalizzate con un farmaco e così utilizzate come cura antitumorale. Infatti, grazie alla loro dimensione, le nanoparticelle possono penetrare nel nucleo delle cellule tumorali distruggendole, costituendo così una terapia meno invasiva e più specifica rispetto quelle chemioterapiche più comuni. Preme sottolineare come tutte le varie applicazioni studiate siano ancora in fase embrionale.

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Dal 2009, la comunità europea sta stilando un regolamento basato su prove di tossicità che normi l’utilizzo delle nanoparticelle. Infatti non sono ancora chiare ed accertate le condizioni nelle quali queste non si solubilizzino nell’organismo ospitante. Inoltre, non è chiaro il meccanismo con cui i polifenoli riescano ad esplicare le loro proprietà, riscontrando dei risultati non uniformi in base alla fonte vegetale da dove questi vengono estratti. Tutto ciò dimostra che molto lavoro ancora è da fare, ma, nel frattempo, la via è stata segnata.