Articolo a cura di Flavio FEDERICI
Vi è mai capitato di pensare al viaggio a cui sono destinate le ultime gocce di un farmaco disciolto in un bicchiere d’acqua che decidiamo di scaricare nel lavandino? Oppure che fine fanno i residui di una sigaretta gettata via poco consapevolmente? Dietro tutto ciò c’è un minimo comune denominatore, ma cominciamo con ordine.
Con il termine “Emerging Pollutans” vengono indicati tutti quegli inquinanti non “tradizionali” che, al contrario di sostanze come il cromo esavalente o altri metalli pesanti, non hanno alle spalle decenni di letteratura scientifica che li definisca e ne delinei le proprietà. Sono sostanze provenienti dalla nostra quotidianità, che hanno la capacità di sfuggire alle tradizionali tecniche di purificazione delle acque di scarico o alla bonifica dei terreni, accumulandosi progressivamente una volta rilasciate in ambiente, con serie conseguenze sulla salute dell’uomo. Questa definizione molto ampia comprende molecole tra le più differenti, a partire da quelle di consumo giornaliero (caffeina e nicotina), a quelle presenti in industrie come quella farmaceutica e alimentare (disinfettanti, alcuni tensoattivi presenti nei cosmetici, additivi alimentari) fino a sostanze per legge definite illecite (oppiacei ed altre droghe). L’accumulo degli “Emerging Pollutans” è stato possibile in quanto la loro classificazione e l’accertamento dell’effetto negativo che questi provocano nel tessuto ambientale (in cui sono dispersi) non è stato un compito facile né veloce. Le molecole che appartengono a questa macro-categoria presentano una grande diversità a livello di struttura molecolare, necessitando di tecniche di rimozione ad hoc per ciascuna di esse.
Un esempio è fornito dall’ibuprofene, molecola comunemente presente negli analgesici in commercio, che non riesce ad essere efficacemente rimosso da un’acqua di scarico grazie ad un tradizionale trattamento biologico. Questo non solo non garantisce una prestazione adeguata, ma spesso non fornisce proprio un’attività di rimozione. Le difficoltà che si manifestano sono legate sia all’incompatibilità tra microrganismi e sostanze da smaltire, ma soprattutto alle concentrazioni limite degli inquinanti al di sopra delle quali la specie chimica risulta pericolosa. Si è stabilito come, in molti casi, concentrazioni molto basse (anche solo dell’ordine dei microgrammi) siano dannose per l’ecosistema ospitante e, di conseguenza, per l’uomo che si nutre grazie a quel territorio. Le difficoltà si moltiplicano considerando la sinergia che sussiste fra una bassa concentrazione soglia ed il volume mediamente trattato di acqua di scarico, dell’ordine di centinaia di metri cubi al giorno. Tutto ciò concorre ad una mancata uniformità nelle strategie da adottare da parte dei vari paesi, anche se non tutti sono rimasti immobili.
Nel 2005 è stato creato un progetto internazionale da parte della comunità europea denominato “NORMAN”, con il compito di promuovere la creazione di un collegamento permanente fra vari laboratori specializzati e centri di ricerca di settore. Associazioni come l’UNESCO, in collaborazione con la SIDA, si sono occupate nel triennio 2014-2017 di approfondire la situazione in termini di qualità delle acque potabili nei vari continenti. La situazione è in constante cambiamento, i paesi sembrano aver preso coscienza del problema, anche se nell’immediato futuro non sono previste azioni risolutive.
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