Fusione dei quark: un punto di svolta?
L’inarrestabile processo di decarbonizzazione ha portato governi e istituzioni di tutto il mondo da un lato a lavorare da un lato per rendere sempre più efficienti le tecnologie rinnovabili, e dall’altro a interrogarsi su quale possa essere il ruolo del nucleare, in particolare la fusione di nuclei di idrogeno.
Una scoperta, non molto tempo fa, ha destato l’attenzione della comunità scientifica.
Novembre 2017. I due fisici teorici Marek Karliner dell’Università di Tel Aviv e Jonathan Rosner dell’Università di Chicago, pubblicano sulla rivista Nature una ricerca con la quale sostengono la possibilità di ottenere, con la fusione di elementi primi della materia come i quark, ancora più energia, a parità di sostanza, rispetto a quella prodotta dalla fusione nucleare.
I dati forniti nel lavoro di ricerca sono stati desunti da alcuni esperimenti che si erano tenuti al Large Hadron Collider, al CERN (Ginevra). In particolare i due fisici si sono concentrati sulla formazione di barioni: questo tipo di fusione produrrebbe energie 8 volte superiori a quella della fusione dell’idrogeno. In particolare hanno studiato i quark che formano i barioni chiamati “doubly-charmed”.
Un punto di svolta?
Ad oggi, purtroppo, non si può parlare di questa scoperta come di un nuovo possibile metodo pulito per la produzione di energia. Vi è una differenza fondamentale tra tale tipo di processo e quello di fusione dell’idrogeno: nel primo caso, la formazione di materia prima nel laboratorio richiede parecchia più energia di quanta si possa ricavare dalla fusione. Inoltre, queste particelle decadono troppo rapidamente (in un tempo dell’ordine del picosecondo) per poter assemblare una centrale subnucleare e produrre energia sfruttabile.
Cosa ci si deve aspettare allora da questa scoperta? Che rimanga un gioco per i fisici teorici, o che sia il punto di partenza per ricerche future?