Ambiente

A cosa pensa un ingegnere nel traffico di città?

Articolo a cura di Alessandro GUERRERA

Vi è mai capitato mentre passeggiate per la vostra città, di fare caso al traffico delle auto che sfrecciano per strada e di guardare all’interno dell’abitacolo? Molto spesso, soprattutto nei grandi centri urbani, imponenti SUV padroneggiano la strada su inermi motociclisti, i quali tentano di divincolarsi con difficoltà. In questi gioielli della meccanica non si vede altro, però, che il guidatore.

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Sorvolando sul fatto che un SUV (acronimo di Sub-Urban Vehicle) sia un veicolo pensato per il fuoristrada e quindi funzionalmente poco adatto all’ambiente urbano (assetto alto, pesantezza, ingombro, bassa reattività, difficile manovrabilità), se lo analizziamo energeticamente in questo contesto risulta altamente inefficiente: quando infatti pigiamo sull’acceleratore è come se stessimo bruciando carburante per portare a spasso la nostra auto piuttosto che noi stessi. Considerando infatti il peso medio di un individuo di 80 kg, un veicolo a confronto ne pesa 20-30 volte di più; praticamente il nostro peso diventa trascurabile. Stiamo quindi utilizzando tutti i suoi 150-200 cavalli, con i relativi consumi, per vincere sostanzialmente l’inerzia del veicolo e le resistenze aerodinamiche, spesso anche molto importanti a causa dell’alto coefficiente di attrito aerodinamico (circa 0,4 contro lo 0,24-0,25 delle auto per il commercio privato più performanti in questi termini).

Secondo il rapporto ISFORT sulla mobilità in Italia, al 2016 la distanza media giornaliera percorsa pro capite era di 28,8 km. Sempre secondo l’ISFORT la velocità media delle auto nel 2015 è stata di 28 km/h in città, 47 km/h su strade extraurbane. Una distanza e delle velocità facilmente ottenibili anche da un veicolo elettrico con scarse prestazioni e per i più audaci, anche da una bicicletta.

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Questi dati fanno nascere spontanea una domanda: quando si acquista un veicolo si considerano mai le caratteristiche tecniche funzionali all’uso abituale, i dati realmente importanti? O ci si basa solamente sull’aspetto estetico, la cilindrata e i consumi?

Prendiamo in considerazione una motocicletta da 125 cc: per ottenere le prestazioni necessarie in ambito urbano (velocità max di 50 km/h, reattività) necessita di un motore con 8 kW di potenza, circa 1/10 di quello di un’autovettura, e di un peso altrettanto minore (circa 100 kg, confrontabili con il peso di una persona).

Una bicicletta a pedalata assistita, che ha invece un peso all’incirca di 20 kg, necessita di una potenza di circa 300 W, prossima a quella sviluppata dalle gambe di un essere umano, garantendo una autonomia di 40 km. Si capisce immediatamente il vantaggio in termini di energia spesa rispetto al peso trasportato; senza contare i benefici per l’ambiente (se confrontato al chilogrammo di CO2 emessa ogni 5 km da un SUV), per il traffico, per la salute (fisica e mentale).

Dobbiamo ripensare il nostro concetto di mobilità urbana, scendere a compromessi con l’ambiente. Il passaggio da una economia di tipo lineare ad una di tipo circolare, mandatorio se vogliamo tutelare la vita su questo pianeta, richiede necessariamente una minimizzazione dei flussi energetici per preservare la limitatezza delle materie prime e rallentare l’aumento entropico, come suggerisce la seconda legge della termodinamica.

Non saranno né le auto elettriche, né quelle ad idrogeno, né quelle a biometano a salvarci dal crescente traffico e dall’enorme spesa energetica (che resterebbe comunque invariata). Saranno invece essenziali reti di trasporto pubblico capillari ed efficienti, servizi di car sharing, corsie preferenziali, soluzioni di micromobilità (segway e monopattini), una amministrazione e un governo lungimiranti ma soprattutto dei cittadini virtuosi.

 

Redazione

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