Le nanotecnologie potrebbero permettere ai moduli termo-fotovoltaici di raggiungere efficienze monstre dell’80%, sfruttando fenomeni quantistici alla nanoscala. Una ricerca effettuata da un team di scienziati all’Università del Michigan e finanziata dallo U.S. Army Research Laborator potrebbe avere importanti ripercussioni non solo in campo energetico ed industriale, ma anche militare e nell’esplorazione dello spazio profondo.
Un modulo termo-fotovoltaico consiste di due parti: l’emettitore termico e l’assorbitore, composto da diodi fotovoltaici a temperatura inferiore. La differenza di temperatura determina uno scambio netto di calore dall’emettitore all’assorbitore sotto forma di trasferimento radiativo, i.e. trasferimento fotonico. Quando i fotodiodi vengono colpiti da fotoni con energia sufficiente, la creazione di coppie lacuna-elettrone si traduce in un moto netto di elettroni, i.e. corrente elettrica. L’effetto del fenomeno è la conversione diretta del calore in elettricità senza parti in movimento, fluidi termovettori, o scambiatori di calore. La semplicità dei moduli termo-fotovoltaici rende questa tecnologia ideale per la generazione di elettricità in luoghi isolati, e.g. spazio profondo, avamposti militari, dove operazioni di manutenzione sono complicate o impossibili. L’assenza di vincoli sulla natura dell’emettitore, inoltre, permette di recuperare calore da fonti odiernamente non sfruttabili, come certe forme di rifiuti industriali. Uno dei problemi fondamentali dei moduli termo-fotovoltaici è il rapporto costo-efficienza. Infatti, l’interposizione di filtri di frequenza selettivi tra emettitore ed assorbitore non è sufficiente a superare un rendimento del 30%, nemmeno in condizioni controllate. Questo problema potrebbe essere risolto con lo sfruttamento di fenomeni di trasporto alla nanoscala.
La radiazione termica è causata dal moto oscillatorio di cariche elettriche in materiali a temperatura superiore allo zero assoluto. Due componenti ondulatorie possono essere identificate: onde propaganti, ed onde evanescenti. L’energia associata alla componente evanescente decresce con la distanza. Se emettitore ed assorbitore sono ad una distanza maggiore della lunghezza d’onda caratteristica dell’emettitore, solo il contributo delle onde propaganti sarà percepito dall’assorbitore (componente di campo lontano). La scomparsa del contributo connesso alle onde evanescenti si traduce in un limite al trasferimento radiativo, noto come limite del corpo nero. Quest’ultimo è governato dalla ben nota legge di Stephan Boltzmann. Quando la distanza è inferiore alla lunghezza d’onda caratteristica, si verifica un accoppiamento tra le onde evanescenti emesse e riflesse (si parla di campo vicino). Il fenomeno si traduce in un effetto tunnel che permette un trasferimento potenziato di fotoni dall’emettitore all’assorbitore. L’accoppiamento si instaura solitamente per distanze di separazione inferiori ai 200 nm. In regime di nano-scala, il trasferimento di energia termica per unità di tempo può superare il limite del corpo nero di diversi ordini di grandezza.
Il nostro lavoro dimostra che l’efficienza dei moduli termo-fotovoltaici può aumentare drasticamente. Mentre l’efficienza dei moduli basati sulla tecnologia solare non può superare il 34% (limite di Shockley-Queissler), l’efficienza dei moduli termo-fotovoltaici può raggiungere l’80%
dice Mayhofer, uno degli scienziati che ha partecipato alla ricerca. Gli autori della ricerca, Dr. Anthony Fiorino, Dr. Linxiao Zhu, Dakotah Thompson, Rohith Mittapally ed i professori Pramod Reddy and Edgar Meyhofer del Mechanical Engineering Department all’Università del Michigan, hanno pubblicato i risultati su Nature Nanotechnology. Ponendo l’assorbitore ad una distanza di 60 nm dall’emettitore, si sono registrati aumenti del flusso fotonico di circa 40 volte rispetto al limite di corpo nero. Gli autori della ricerca hanno intenzione di commercializzare la tecnologia, una volta gli sforzi di ottimizzazione saranno ultimati. In futuro, l’utilizzo diffuso di “materiali bidimensionali”, come il grafene, potrebbe permettere di sfruttare a pieno il potenziale di questa nuova scoperta.
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