“Questa è la storia di un’idea che doveva essere portata avanti nonostante tutto”. Così la professoressa Concetta Giasi, professore ordinario di Geoingegneria ambientale presso il Politecnico di Bari, descrive la nascita e l’evoluzione della sperimentazione che l’ha portata ad ottenere un brevetto internazionale WIPO nel campo del trattamento dei fanghi. La professoressa Giasi e Nicola Pastore, ricercatore del Politecnico, hanno progettato un impianto in grado di stabilizzare i fanghi e ricavarne metano puro ad emissioni zero.
Non si tratta solo di un’importante scoperta scientifica che potrebbe rivoluzionare il panorama energetico nazionale e internazionale ma anche di una grande storia di tenacia e determinazione che può insegnare tanto, soprattutto a noi ragazzi.
Attualmente i fanghi vengono impiegati come ammendanti in agricoltura, bruciati negli inceneritori o trattati con processi che, dopo 20-28 giorni, permettono di ottenere un prodotto costituito da acqua per il 75%. Inoltre, a seguito di una sentenza del 2017 della Corte di Cassazione, è stato vietato lo sversamento dei fanghi in agricoltura, se essi non rispettano stretti vincoli sulla concentrazione dei contaminanti.
L’idea proposta dalla professoressa Giasi e dal ricercatore Pastore si presenta come una soluzione più che efficiente al problema. La tecnologia brevettata permette di trattare i fanghi in soli 2 giorni e di ridurne la concentrazione di acqua fino al 35%. Il prodotto finale è una sorta di sabbia addensata che può essere stoccata per tempi lunghi e non risulta né putrescibile né tossica, come rilevato da ben 4 prove di cessione svolte dall’ARPA. Il processo è a consumi ed emissioni zero: la richiesta di metano è inferiore alla metà del metano ottenuto e la CO2 prodotta normalmente durante la stabilizzazione è riutilizzata nel processo stesso. Il metano prodotto (circa 21 metri cubi di biogas per ogni tonnellata di fango) può essere convertito in energia elettrica sul posto o immesso nella rete di distribuzione.
Durante l’intero processo si raggiunge la temperatura massima di 70° e non vi sono condizioni di pressione. Nel momento in cui arrivano i fanghi, essi vengono stabilizzati mediante idrolisi termochimica, un processo di stabilizzazione chimico-fisica in seguito al quale il materiale non emette più cattivi odori. Ciò permette di ipotizzare delle installazioni in ambiente urbano, date anche le dimensioni ridotte dell’impianto. Infatti, un impianto per un centro abitato di 40000 abitanti occuperebbe una superficie di soli 730 metri quadri senza superare i 10 metri d’altezza. Inoltre, il processo potrebbe trattare qualunque tipo di biomassa: ci spiega la professoressa che “questo lavoro è solo una porticina in un universo di applicazioni che riguarda tutta la materia organica e se ci guardiamo intorno poca materia non è organica”.
La sperimentazione è stata realizzata in collaborazione con l’Acquedotto Pugliese presso l’impianto di depurazione “Bari Est” dell’area metropolitana di Bari. L’impianto pilota, installato su un tir di 12 m, è stato messo in funzione a marzo 2017 ed ha lavorato a flusso continuo fino a settembre, caricando 350 litri di fanghi al giorno.
“I veri successi che danno qualcosa ALL’UMANITÀ vengono fuori quando c’è qualcuno che impazzisce, si incaponisce e va contro tutto. Questa è anche la storia di un successo umano, mio e del mio ricercatore.”
“Dimostrare al mondo intero che non sei folle e che hai un’idea concreta e che la vuoi portare avanti non è facile. Il successo più importante è stata riuscire a fare una cosa che era chiara nel mio cervello nonostante tutte le difficoltà“. Così la professoressa Giasi descrive il periodo antecedente all’inizio della sperimentazione in cui una serie di difficoltà burocratiche, dovute alla realizzazione del prototipo in una struttura pubblica, e logistiche hanno ostacolato e rallentato enormemente il progetto. Grazie alla determinazione dei protagonisti di questa vicenda, la ricerca è stata portata avanti nonostante tutto ed i risultati ottenuti sono stati sorprendenti.
Questa tecnologia sembra attrarre interesse più dall’estero che in Italia. “Aziende estere hanno studiato il nostro processo, ne hanno verificato l’efficacia e sono interessate all’acquisizione. Ma noi vorremmo che questa interessasse soprattutto il nostro territorio regionale ed il nostro Paese.“ Purtroppo, fino ad ora gli interessi a livello locale sono risultati pochi e incerti.
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