Da secoli si è continuamente alla ricerca di nuove fonti di energia, che siano rinnovabili, innovative, pulite e, per quanto possibile, low cost. Dopo essersi interrogati su come sfruttare l’energia proveniente da fonti “macro” come sole, vento, onde del mare, ultimamente gli scienziati si sono concentrati su fonti di energia “micro”. In questo articolo vi parleremo di due studi nei quali si mettono in evidenza le potenzialità dello sfruttamento di proteine e amminoacidi per la produzione di energia.
Gli studi in questione sono stati condotti presso l’Istituto Bernald dell’Università irlandese di Limerick. Le principali future applicazioni delle tecnologie sviluppate riguardano dispositivi che richiedono una bassa potenza usati soprattutto in ambito medicale, ecc.
All’interno delle lacrime, della saliva e del latte è contenuto il lisozima. Lo studio pubblicato su Applied Physics Letters spiega come il lisozima abbia la capacità di convertire energia meccanica in energia elettrica, al pari di un materiale piezoelettrico. Tale proteina presenta questa caratteristica quando viene solidificata sotto forma di cristallo. Applicando pressione su un film di cristalli di lisozima tra due vetrini, si nota che in risposta vi è un accumulo di carica elettrica.
“La struttura dei cristalli di lisozima è nota fin dal 1965”, ricorda il co-autore dello studio, Tewfik Soulimane. “Infatti è stata la seconda struttura proteica e la prima struttura enzimatica ad essere risolta, ma noi siamo stati i primi a usare questi cristalli per ottenere le prove della loro piezoelettricità”.
Lo studio in questione è stato pubblicato su Nature Materials e mette in luce alcune interessanti caratteristiche della glicina, il più semplice e comune degli amminoacidi. Secondo la ricerca svolta, anche la glicina presenta le stesse caratteristiche di una materiale piezoelettrico: quando sottoposta a sollecitazioni meccaniche, essa riesce a convertire energia meccanica in elettricità. Tra i vantaggi dell’utilizzo della glicina rispetto ai classici piezoelettrici vi è sicuramente la convenienza economica: infatti, produrre glicina costa molto meno rispetto ai comuni materiali piezoelettrici. E’ possibile anche recuperare glicina da residui agricoli. Inoltre, i comuni materiali piezoelettrici contengono elementi tossici che non li rendono adatti per applicazioni come biosensori, ecc., problema che non si avrebbe utilizzando la glicina.
“È davvero eccitante che una molecola così piccola possa generare tanta elettricità”, ha osservato Sarah Guerin, principale autrice dello studio. “Abbiamo sviluppato cristalli di glicina nell’alcool e abbiamo prodotto energia elettrica semplicemente toccandoli”.
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