Articolo a cura di Andrea Noli
ll progresso tecnologico umano ha prodotto un aumento esponenziale nella qualità della vita. Tutto questo però ha avuto un costo. Un costo pagato da tutti noi, attraverso il consumo delle risorse rinnovabili e l’inquinamento che solo ora sembra essere un problema di cui occuparsi. Negli ultimi anni, il tema della salvaguardia dell’ambiente ha avuto una sempre maggiore visibilità e una maggiore esposizione anche nei mass media.
Prima di entrare nel merito delle green policies, è doverosa premessa.
Ovviamente no. La differenza è chiara in inglese dove le policies sono ben distinte dalle politics. In Italia tutto sta sotto l’ombrello della parola politica.
Con policy (singolare di policies) si intende un sistema di principi utilizzato per guidare e indirizzare le decisioni e ottenere risultati ragionevoli.
Con politics si intende la politica dei partiti, delle idee, dei governi e via dicendo.
Dipende, la Green politics esiste ed è un’ideologia politica che mira a creare una società ecologicamente sostenibile i cui baluardi sono la nonviolenza, la giustizia sociale e la democrazia di base.
Banalmente per una questione di ignoranza. Un po’ come per i danni provocati dal fumo, non si era a conoscenza del fatto che l’utilizzo intensivo delle risorse ambientali avrebbe portato a danni dagli effetti così catastrofici. Ora chiunque, dal fruttivendolo sotto casa al rettore di Harvard, sono concordi che il clima sta cambiando ed è necessario adottare un atteggiamento più eco-solidale.
Assolutamente…no. Oltre a trovare la resistenza di vari Paesi, senza fare nomi citiamo solo quelli con le stelle e le strisce, gli accordi di Parigi hanno il grosso handicap di non aver un serio apparato di “punizioni” per chi non rispetta i patti. In sostanza è un po’ come se dicessimo a qualcuno che non deve passare col rosso ma non creassimo una sanzione che prevenga tale comportamento sbagliato.
Inoltre i Paesi in via di sviluppo (India in primis) lamentano che i Paesi già sviluppati, sono diventati tali anche grazie alle emissioni di agenti inquinanti da parte delle loro industrie, mentre ora vorrebbero tarpare le ali ai Paesi emergenti impedendoli di inquinare e “imitarli”.
Un’importante misura che in qualche modo è a monte delle green policies è il “Green Public Procurement”, in italiano Acquisti verdi della P.A.. Questo processo “filtra” gli acquisti pubblici e permette che sono quelli che rispettano determinati standard eco-solidali, arrivino alla firma del contratto. Questi standard sono contenuti nei criteri minimi ambientali (CAM) e variano da settore a settore.
Ovviamente dire a qualcuno che non usando la macchina oggi, avrà un guadagno in un futuro prossimo, potrebbe non produrre gli effetti sperati. Tralasciando l’esempio banale, il cambiamento di mentalità verso una visione più eco-solidale non può essere né imposto né solo punitivo. Ogni settore economico deve contribuire al cambiamento globale, e per questo si è avviato lo “Environmental policy integration” o politica di integrazione ambientale. L’EPI punta infatti a sensibilizzare ogni settore per far si che gli obiettivi delle green policies vengano implementati non sono dai settori come quello energetico e dei trasporti, ma anche da quelli dove il diventare eco-solidale può risultare più costoso nel breve termine. L’EPI è considerato come un elemento chiave dello sviluppo sostenibile. In conclusione, l’obiettivo è rendere le green policies più mainstream e quindi parte della vita di tutti i giorni e non un fatto eccezionale o un “extra”.
Sempre dallo stesso autore, “Come ridurre le emissioni di CO2”? .
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