Dal mese scorso ho iniziato un progetto di Master. Esso mi porterà in diverse città del mondo – sei diversi moduli – per studiare differenti contesti urbani, con particolare focus sul concetto di Smart City (?). Vista l’esperienza insolita, mi è stato chiesto di scrivere degli articoli. L’idea è quella di descrivere (a valle di ogni modulo) le mie impressioni e quello che ho imparato. La prima tappa è stata la Malesia.
Non si può iniziare a parlare di Malesia se non la si inquadra da un punto di vista geopolitico. Come vedete in mappa, è formata da una penisola – che confina con la Thailandia – e da una parte di un’isola che confina con l’Indonesia. La popolazione (circa 30 milioni di persone, la maggior parte di religione musulmana) ha iniziato da pochi anni ad arricchirsi. La Malesia, infatti, punta a raggiungere il livello di Nazione Sviluppata entro il 2020. L’economia risulta(va) schiacciata tra due giganti (India e Cina), motivo per cui, dall’indipendenza, la nazione ha arrancato finanziariamente. Dall’altra parte, però, la competizione sfrenata degli ultimi anni con la realtà estremamente ricca di Singapore, sta portando il governo malese a investire in città mastodontiche e progetti innovativi.
L’impatto iniziale all’arrivo è stato interessante. Aeroporto di nuovissima costruzione e con un impianto fotovoltaico su tutti i tetti dei terminal; palazzoni in costruzione alti più di 30/40 piani da tutti i lati delle strade della città di Cyberjaya – dove ho vissuto per due settimane; piccoli grattacieli residenziali completati da pochi mesi (o, al limite, da uno o due anni). A tutto questo progresso infrastrutturale, però, si oppone la completa desolazione della vita tra questi palazzi.
Cyberjaya (una mezz’oretta a sud di Kuala Lumpur) è il tipico esempio di città artificiale di poco successo. Una ventina di anni fa la Telecom Malaysia ha investito milioni e milioni di dollari per fondare un’università che avrebbe dovuto attrarre le menti migliori, asiatiche e non. Una volta fondata l’università (MMU), si è pensato di iniziare ad investire in appartamenti e grattacieli per dar da dormire alle persone che si sarebbero trasferite. Il problema è che nessuno si vuole trasferire in una città dove non c’è niente da fare. E dopo anni e anni hanno pensato di costruire un grandissimo centro commerciale, a cui sono seguiti vari più piccoli centri commerciali o aggregazioni di negozi. Questi ultimi accorgimenti hanno fatto sì che, almeno una parte dei giovani studenti, rimanga la sera in città. Tuttavia i problemi rimangono tanti: uno fra tutti il trasporto pubblico inesistente (se non hai un’auto – e lì si guida anche sulla sinistra! – non vai da nessuna parte).
Un altro esempio estremo (a mio parere) è la città di Putrajaya. Quest’ultima è simbolo dell’eccessivo potere politico – per darvi un’idea, basta pensare che il Primo Ministro è dello stesso partito politico da più di 55 anni, mentre il re viene rieletto ogni 5 anni (!). Costruita da zero al posto di una piantagione di palme da olio (primo settore economico/agricolo della Malesia fino a pochi anni fa), adesso è come la vedete in foto in alto. Lo scatto è stato fatto dal primo palazzo costruito su una collina artificiale, la quale si unisce in modo diretto – con un corso lungo diversi km – al palazzo del Primo Ministro – se zoomate la foto lo vedrete dietro i grattacieli. Questi ultimi sono uffici governativi di ministeri della nazione e dello stato federale di Putrajaya. Laghi, dighe, foreste sono tutti stati sviluppati artificialmente su spazi dove prima non c’era nient’altro che palme. In sostanza, questa città è stata fondata per diventare una sorta di ghetto delle autorità malesi.
Tra i vari luoghi visitati, direi che Kuala Lumpur – la capitale – è la più occidentale delle città malesi. Il centro economico non è diverso da quello di Londra, New York, Berlino o Hong Kong. Se ci si avventura un po’, comunque, si possono scoprire templi antichi cinesi ed indù estremamente affascinanti e coloratissimi.
Più a sud, invece, c’è il piccolo porto delle spezie di Melacca (o Melaka) nato ai tempi di Vasco De Gama e più potente di Singapore per molti anni. Al momento è più che altro una meta turistica. Il fervore di alberghieri e costruttori stava rischiando di distruggere l’antico centro storico (portoghese prima e cinese poi), il quale da pochi anni è protetto dall’UNESCO. Questa città sta puntando molto sulla produzione energetica pulita (nelle foto potete vedere il gruppo in visita ad un impianto fotovoltaico da 5 MWp, primo per grandezza nella nazione) e su efficienza energetica – tema su cui si stanno aggiornando e su cui stanno iniziando ad implementare i primi veri progetti con ESCo estere e malesi.
Vorrei concludere questo piccolo racconto con un pensiero sulle famigerate Smart City. Da tutte le lezioni, seminari ed incontri con luminari, professori, dirigenti di uffici pubblici e politici, una cosa risulta chiara: nessuno sa cosa è una città Smart. Ci sono opinioni discordanti e confusionarie. Quello che si è capito, invece, è che una città dovrebbe essere costruita per la comunità. Nessuna città può esistere senza una comunità partecipativa e critica. Inoltre non è affatto detto che una tecnologia innovativa a Barcellona sia altrettanto innovativa ed utile a Kuala Lumpur. Il concetto teorico di Smart City è, quindi, vuoto se non è direttamente collegato ai bisogni dei cittadini, i quali sono – naturalmente – associati al contesto economico, sociale, politico, tecnologico, ambientale e finanziario della regione in questione.
Il prossimo modulo sarà in Corea del Sud, nuove città da studiare e diversi contesti da conoscere. Lì ci concentreremo sull’utilità della tecnologia nelle Smart Cities.
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