Il 2016 ha rappresentato per Leonardo DiCaprio un punto di arrivo molto importante. I successi sono riscontrabili non solo in ambito artistico (vincitore dell’oscar come miglior attore), ma lo vedono anche protagonista di una intensa campagna ambientale, rivolta ad una sensibilizzazione ai cambiamenti climatici, che trova finalmente il suo approdo con la pubblicazione del documentario “Before the Flood” ,in diretta televisiva sui canali National Geographic il 31 Ottobre 2016.
Perché DiCaprio?
Leonardo DiCaprio, 42 anni, lavora già da molto tempo alla causa ambientale. Nel 1998 prende vita la Fondazione Leonardo DiCaprio, in difesa delle aree del pianeta ancora non soggette all’impatto umano.
Ha sostenuto economicamente la produzione di Cowspiracy, documentario del 2014 sui cambiamenti climatici. Abituale sostenitore di organizzazioni come il WWF, DiCaprio, nell’ Ottobre 2014 è stato nominato nuovo “ambasciatore di pace ONU contro i cambiamenti climatici”. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban, ha infatti voluto cavalcare l’onda del successo mediatico ed artistico dell’attore statunitense per “raffreddare la temperatura globale”.
Before the flood:
Il documentario rappresenta una rapida rassegna di interviste, dati e panoramiche su situazioni ambientali ai limiti del critico.
Il filo conduttore è, come si può facilmente immaginare, una forte dipendenza globale dai combustibili fossili e come le singole realtà reagiscono a questa situazione.
Gli Stati Uniti sono i primi ad essere chiamati in causa, dove, secondo autori e ricercatori, il cammino verso le rinnovabili è tortuoso a causa delle pressioni in sede di Congresso da parte di case petrolifere che finanzierebbero gli stessi deputati e screditerebbero anche le ricerche più recenti. Esempio clamoroso è quello di Michael Mann, fisico e ricercatore che da anni dedica gran parte della sua attività al riscontro di un riscaldamento globale. Dai suoi studi si evince come la Terra abbia assistito, per secoli, ad un progressivo raffreddamento e ad un improvviso surriscaldamento.
Le sue teorie, seppur condivise dal mondo scientifico, sono state diffamate dai media americani. La stessa teoria è ripresa in seguito da Johan Rockstorm, professore di scienze ambientali a Stoccolma, il quale, grazie ai suoi studi di gruppo con “Earth League”, ha riscontrato una temperatura quasi costante per 12000 anni, fino a giungere ad un improvviso aumento tra i 0.85 °C e gli 1.5 °C. Il timore, secondo tali studi, è quello del “punto critico”, momento in cui la Terra continuerebbe ad autoriscaldarsi. Un esempio sono i ghiacciai della Groenlandia soggetti ad uno scioglimento con conseguente rilascio di ulteriore metano, trattenuto dal ghiaccio stesso.
Successivamente viene analizzato il caso Cina e di come sia ancora più sottomessa ai combustibili fossibili rispetto agli USA ma di come, con politiche di governo adeguate, è in grado di garantire una crescita non indifferente delle rinnovabili.
Passiamo quindi a situazioni più critiche come l’India, dove 300 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica o a Kiribati, isola dell’Oceania, dove è già in atto un pesante processo di migrazione a causa delle continue inondazioni.
Elon Musk viene chiamato in causa per i suoi impegni in ambito energetico, grazie alla Tesla e ai suoi investimenti volti ad ottenere batterie dal costo ridotto, accessibili a tutti.
A concludere, due interviste autorevoli sulla tematica e sull’accordo di Parigi, che vedono la figura di Obama, molto soddisfatto e ottimista, contrapposta a quella di Papa Francesco ancora scettico e insoddisfatto.
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