Il CERN, situato a metà strada tra Svizzera e Francia, è un centro di ricerca sulla fisica delle particelle in cui si riuniscono le più brillanti menti di scienziati che si interrogano sull’origine e sulle possibili evoluzioni del nostro universo. Proprio qui nel 2012 è avvenuta la scoperta del bosone di Higgs, particella fondamentale del modello standard associata al campo di Higgs, capace di “dare massa” ai corpi e che è valsa il premio Nobel al suo teorizzatore, Peter Higgs.
Grazie ad un viaggio organizzato dal Politecnico di Bari, con la collaborazione di alcuni docenti della sede dell’INFN di Bari, ho avuto la possibilità di visitare questo tempio della scienza: vi lavorano più di 2000 scienziati provenienti da tutto il mondo, tra i quali gli italiani rappresentano la seconda nazionalità più numerosa, dopo gli statunitensi.
Il cuore del CERN è costituito da una serie di acceleratori e di rivelatori di particelle: fasci di protoni, che raggiungono quasi la velocità della luce, vengono accelerati e fatti collidere per analizzare i prodotti degli urti, alla ricerca delle particelle elementari che costituiscono la materia.
Il più grande dei vari acceleratori di particelle è l’LHC, un anello sotterraneo di 27 km, in cui viaggiano due fasci di protoni: grazie a dei particolari magneti (Tuffo al centro dell’LHC, l’acceleratore di particelle più grande del mondo), si riesce a deviarne la traiettoria al fine di farli scontrare nel centro dei quattro rivelatori di particelle. I primi due, rivelatori general purpose, sono CMS e ATLAS: questi sono caratterizzati da una struttura a “cipolla” in cui ogni strato è un rivelatore adatto a scovare ed identificare un tipo di particella, sfruttando particolari interazioni elettromagnetiche.
Un altro dei rivelatori chiave del CERN è ALICE, in cui si studiano le collisioni tra nuclei di piombo. Lo scopo è quello di riuscire a riprodurre in laboratorio uno stato della materia che si presenta alle altissime energie chiamato “plasma di quark e gluoni”, esistito subito dopo il Big Bang per pochissimi istanti.
Infine vi è l’LHC-b, in cui studia l’antimateria monitorando il decadimento di particolari particelle generate durante le collisioni. In particolare, questo studio cerca di chiarire il problema dell’asimmetria tra la materia e l’antimateria, che, secondo la teoria del Big Bang, inizialmente dovevano essere presenti nell’universo nella stessa quantità.
Tutti i dati ottenuti dai rivelatori, circa 15 milioni di gigabyte ogni anno, vengono distribuiti attraverso la GRID, una rete planetaria che permette di utilizzare la potenza di calcolo e la memoria di decine di migliaia di computer, per ricercare ed identificare “eventi interessanti” che potrebbero portare alla scoperta di nuove particelle. Inoltre, presso alcuni laboratori sono in corso importanti studi sui Big Data: potenziando i processori impiegati sarebbe possibile immagazzinare più dati e ad analizzarli ad una velocità più elevata.
La tecnologia sviluppata nell’ambito degli acceleratori e rivelatori non viene utilizzata solo nell’ambito della fisica delle particelle…
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