Migliorare l’Efficienza, l’Importanza dei Recuperi Termici e i Cicli ORC – PARTE II

Articolo a cura di Carlo Maccioni

Riprendo l’analisi iniziata nella prima parte del mio lavoro che potete trovare QUI.

Come già accennato, se si volesse approfondire il dimensionamento di tale tipo di impianti, è importante sapere in partenza qual è l’obiettivo che si vorrebbe raggiungere. I cicli ORC sono noti per avere una efficienza molto bassa, dunque in fase di dimensionamento generalmente il traguardo consiste nel massimizzare l’efficienza globale del sistema.

Se si prosegue con l’ipotesi che il ciclo sia un WHR, è importante avere ben chiari i concetti di efficienza di ciclo ed efficienza globale. La prima è relativa appunto all’esecuzione del ciclo Rankine in sé e per sé, la seconda invece è di maggior interesse, perché consente di comprendere quanto sia efficace il processo, considerando anche il recupero termico.

L’efficienza globale può essere definita come segue: 

 

dove PHI è un parametro detto heat availability, cioè il tasso di energia disponibile rispetto a quella totale recuperabile dal fluido termovettore:

 

Esistono più lavori in letteratura che dimostrano che per ottenere la massima efficienza globale occorre evitare il surriscaldamento del fluido di processo, raggiungendo a fine evaporazione solamente la condizione di vapore saturo secco.

Per dimensionare un impianto semplice ORC, di taglia nell’ordine di qualche decina di kW, è necessario partire dall’analisi dei seguenti elementi: fluido termovettore, fluido di processo, scambiatori, espansore e pompa.

Vediamo alcune caratteristiche:

Fluido termovettore: può essere di diversi tipi, generalmente è acqua. L’importante è verificare che, se si utilizzano fluidi insoliti, essi non rilascino residui dannosi una volta che la loro temperatura sia scesa al di sotto di una certa soglia, durante lo scambio termico col fluido di processo.

Fluido di processo: Sono molte le caratteristiche da considerare. Occorre prestare attenzione al suo eventuale impatto ambientale, con tutti gli indici di riferimento, GWP (Global Warming Potential), ODP (Ozone Depletion Potentia), tossicità e infiammabilità. In base alle esigenze del processo, si può inoltre scegliere fra tre diverse categorie di fluidi organici: Wet, Dry, Isoentropic. La differenza è evidente osservando la pendenza della curva del vapore saturo di queste tre tipologie di fluidi. Nel caso Wet (come mostrato in figura) tale pendenza è negativa, questo in molti casi aiuta a evitare problemi in fase di espansione, perché al suo termine il fluido si troverà ancora in condizione di surriscaldamento, evitando formazione di condensa, che può risultare dannosa se l’espansore usato è una turbina. Saranno poi rilevanti altri fattori come il calore latente di evaporazione o il peso molecolare.

Sciencedirect.com

Dal punto di vista impiantistico invece la scelta di scambiatori ed espansore dipende fortemente dalla taglia del sistema. Per un impianto di piccole dimensioni, gli scambiatori di calore a fascio tubiero rischiano di essere molto costosi, ingombranti e pesanti, compromettendo la compattezza del sistema. Per questa ragione occorrerebbe puntare all’utilizzo di scambiatori a piastre, molto compatti ed economici, ma con l’importante limite strutturale di non sopportare pressioni elevate.

Per taglie ridotte, anche l’espansore va scelto opportunamente. È ovviamente escluso l’utilizzo di turbine, e si ricorre a espansori volumetrici di vario tipo. Generalmente si adottano espansori Scroll, ma esistono delle simulazioni che riportano l’utilizzo di un prototipo (realizzato all’Università di Pisa) ricavato da un motore Wankel riadattato appositamente per essere utilizzato come espansore. In generale, l’adozione di un espansore volumetrico comporta meno disagi rispetto a una macchina dinamica, è pur vero che queste due tipologie di macchine, difficilmente possono essere adottate nello stesso range di potenze.

In conclusione, riporterò alcune mappe collinari relative alle simulazioni di processo eseguite per il dimensionamento di un impianto ORC di circa 13 kW di picco, con un esempio di quello che potrebbe essere il layout finale di un sistema del genere, nel quale è stato inserito, a scopo di ricerca, anche un rigeneratore a valle dell’espansore. Il lavoro è molto lungo, le immagini di seguito sono solo un brevissimo esempio di cosa si potrebbe ottenere approfondendo il dimensionamento.

Carlo Maccioni
Carlo Maccioni
Carlo Maccioni

Un sistema come quello esposto ha dei costi molto concorrenziali rispetto a tecnologie rinnovabili che producano una potenza simile. Tralasciando il prezzo, inoltre, si pensi agli ingombri. Un impianto fotovoltaico da 13 kW di picco richiede orientativamente una superficie di circa 90 m2. Potrebbe essere quindi interessante un forte approfondimento della tecnologia ORC per quanto riguarda la generazione distribuita di energia. Si potrebbe coprire il fabbisogno di 4 abitazioni private con un impianto che ha una base quadrata di lato 2 metri, e un’altezza di circa 1,9 metri.

Il brevissimo esempio mostrato in precedenza è in realtà relativo a un lavoro di ricerca molto lungo, che ha comportato la valutazione di un numero elevato di parametri, ma ormai è necessario che il settore energetico investa quanto più possibile per individuare sistemi che consentano di aumentare l’efficienza  dei processi e razionalizzare la produzione.

Redazione

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