Il problema dello sfruttamento delle energie rinnovabili è ormai da anni sotto gli occhi di tutti. Ciò che spesso non è chiaro, è l’enorme serie di problemi che si presentano nel momento in cui si cerca di veicolare in modo razionale tali energie. Se si fa riferimento a due fonti come quella solare o eolica, esse si presentano in modo discontinuo, spesso sono necessari modelli statistici dettagliati per ottenere una minima previsione su quali saranno le condizioni atmosferiche in un dato periodo dell’anno, in modo tale da garantire una certa continuità nella produzione, cosa che invece si ottiene ormai agilmente con la produzione da fonti fossili convenzionali, la cui gestione è programmabile. Problemi non meno importanti sono le possibilità di accumulo e soprattutto la densità di potenza. Si può affermare che quest’ultima ci indica la potenza ottenibile per ogni metro quadro di installazione dedicata allo sfruttamento di una precisa risorsa energetica e la si misura in W/m2. Per dare un’idea,
a fronte di una densità di potenza per produzione da fonti fossili che sta spesso sopra i 100 W/m2, si ha per le fonti rinnovabili un valore inferiore di almeno un ordine di grandezza, con i
biocombustibili intorno a 1 W/m2, il solare che, tenuto conto degli spazi necessari all’installazione, si attesta intorno ai 10 W/m2, fino ad arrivare all’eolico anch’esso con valori di qualche W/m2. E’ evidente che per mantenere lo stesso grado di benessere dal punto di vista energetico, al netto di una necessaria razionalizzazione dei consumi e di un miglioramento delle efficienze, se si pensasse di sfruttare solo le fonti rinnovabili, con le attuali tecnologie si avrebbero, fra i tanti, parecchi problemi di superfici occupate esclusivamente a scopo energetico.
La tecnologia INVELOX, che è stata presentata circa due anni fa, sembra intervenire in questa direzione, garantendo produzione di grande entità, anche parecchie decine di MW, a differenza di molti più recenti sistemi eolici, pensati per generazione di potenze particolarmente ridotte. I costruttori in una serie di pubblicazioni (Dr. D. Andraei, Prof. Y. Alleopulos; INVELOX: a new concept in wind energy harvesting. ASME 2013 7th International Conference on Energy Sustainability) riepilogano le caratteristiche e le prestazioni di questo sistema. Il funzionamento si basa su un principio che tutti coloro che hanno studiato la fisica tecnica dovrebbero aver visto, ossia l’effetto Venturi, una conseguenza del teorema di Bernoulli. Questo effetto ha tantissime applicazioni, in passato ad esempio è stato studiato e sfruttato per evitare che le monoposto di formula 1 decollassero. L’idea di base è semplice, si prenda un generico tubo di flusso, con un restringimento di sezione. Assumendo che la quota rimanga costante, se dalla sezione A1 passa una determinata portata massica, in condizioni stazionarie, nella sezione A2, la portata massica dovrà essere la stessa. Dunque, se il fluido è considerato incomprimibile, l’equazione di continuità e il bilancio ? + 1/2??2 + ??? = ???? ci dicono in conclusione che laddove si ha un restringimento della sezione, si ha un aumento della velocità del fluido e una conseguente riduzione della sua pressione.
I costruttori della tecnologia INVELOX dichiarano di sfruttare proprio questo principio. A dire il vero, questa possibilità fu immaginata già parecchie decine di anni fa, quando si iniziarono a studiare turbine eoliche che facessero uso di sistemi diffusori, ma fu abbandonata per vari problemi legati specialmente ai costi della tecnologia, che adesso in parte si sono ridotti, anche grazie alla possibilità di simulare i risultati con la fluidodinamica computazionale.
La differenza sostanziale rispetto ai vecchi concept sta nel distanziamento fra l’inizio del canale convogliatore, e la zona di installazione delle turbine, che sono multiple e montate sullo stesso albero. Queste ultime sono poste in prossimità della strozzatura del condotto, dove ha origine l’effetto Venturi, mentre l’inizio del condotto stesso si trova più in alto, permettendo così ai progettisti di dimensionarne il diametro in base alle caratteristiche del vento da sfruttare e alla percentuale di accelerazione che gli si vuole dare. Tutto questo consente di adottare turbine con diametro molto ridotto, modificando solo la sezione iniziale del condotto, in modo tale da ottenere l’accelerazione desiderata.
Quanto ottenuto dai costruttori è la possibilità di sfruttare correnti d’aria a velocità inferiori rispetto a quelle necessarie per impianti eolici classici, e soprattutto, tornando al problema della densità di potenza citato inizialmente, si ha la riduzione delle dimensioni a parità di output elettrico con un impianto eolico classico. 280% in più di output elettrico per torre, turbine con diametro ridotto dell’84%, 90% in meno di suolo occupato per un’installazione da 100 MW, minor numero di torri, e soprattutto altezza ridotta del 50%. Alcuni di questi risultati probabilmente sono da attribuire al fatto che, con le classiche turbine eoliche, per evitare interazioni fra le correnti fluide, si adotta una distanza di installazione pari anche a 5 volte il diametro del rotore, problema molto meno presente nel caso della tecnologia INVELOX.
Rimane da capire se, al di là dei toni comprensibilmente sensazionalistici dei produttori, un sistema del genere reggerà alla prova dei fatti, nella commercializzazione su larga scala, sembra siano stati effettuati numerosi test, sia su una torre reale, che tramite simulazioni CFD, ma molte aziende come ad esempio la Vestas, continuano a investire su turbine classiche, senza alcun diffusore, ma sperimentando alcune soluzioni multi-rotore.
Articolo scritto da Carlo Maccioni, Laureando Magistrale in Ingegneria Energetica
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