Chimica Industriale, Ricerca Italiana vince 1.5 Milioni da parte dell’ERC – Parte II
L’Italia della ricerca che, nonostante tutto, va avanti e si impone sulla scena internazionale. Di seguito, la seconda parte dell’intervista al Prof. Dott. Matteo Maestri, il quale ha vinto l’ambito premio da parte dell’ERC di un milione e mezzo per la sua ricerca in campo chimico industriale, di cui trovate tutti i dettagli nella prima parte dell’intervista, QUI.
Quali sono, a suo parere, gli impatti più importanti della sua ricerca in generale?
Questa metodologia porrebbe le basi per una analisi e progettazione di processi catalitici dall’atomo al reattore attraverso un approccio integrato sperimentale, modellistico e teorico. Pertanto, il successo di questo progetto dovrebbe portare verso una comprensione del meccanismo catalitico su base atomica per processi rilevanti da un punto di vista tecnologico. Questo permettere di raggiungere una comprensione fondamentale e dettagliata di processi catalitici che sono cruciali nella chimica industriale, conversione dell’energia, protezione ambientale e produzione sostenibile. Tutto questo aprirebbe ampi spazi per una ottimizzazione dei processi esistenti per lo sviluppo di nuovi più sostenibili per l’ambiente e più efficienti.
Essendo io Ingegnere Energetico, mi interesserebbe sapere, invece, gli impatti dello studio che lei ritiene più forti in ambito di applicazioni energetiche e in ambito ambientale.
La catalisi eterogenea ha un ruolo di primaria importanza in applicazioni energetiche ambientali: produzione di fuel, produzione di idrogeno, abbattimento di inquinanti (marmitte catalitiche, deNOx, combustione catalitica). Nello specifico, in questo progetto ci concentreremo come sistema base su applicazioni nell’ambito della produzione di H2 a basso tempo di contatto a partire da idrocarburi.
Quali CREDE saranno gli sviluppi futuri della sua ricerca e quali, invece, SPERA saranno gli sviluppi in futuro?
Il successo di questo progetto dovrebbe portare verso una comprensione del meccanismo catalitico su base atomica per processi rilevanti da un punto di vista tecnologico. Lo sviluppo principale di questo programma di ricerca credo e spero (faccio fatica a distinguere i due piani) sia il cosiddetto “catalyst design”, ossia la progettazione del materiale catalitico non attraverso una analisi fenomenologica “trial and error”, ma basata su una comprensione funzionale del meccanismo catalitico. Tutto questo porrebbe le basi per una nano-ingegnerizzazione del materiale catalitico per ottenere specifiche prestazioni nelle condizioni operative di interesse. La struttura atomica diverrebbe una variabile ingegneristica di progettazione del processo.
Lei è giovane e vive il mondo della ricerca tutti i giorni – in Italia e all’estero. Vorrei, dunque, chiederle se è soddisfatto dell’importanza che si da alla Ricerca Scientifica in Italia o se, al contrario, avrebbe delle idee per migliorare la situazione attuale.
La mancanza di finanziamenti pubblici nazionali adeguati e allineati su standard internazionali e la loro continuità nel tempo (evitandone l’intermittenza attraverso bandi con scadenza annuale certa e su un piano pluriennale noto) sono il punto più dolente e rappresenta il gap principale da colmare rispetto ad altri paese quali Germania, Francia e UK. La soluzione di queste criticità dovrebbero essere alla base di una vera visione politica per la ricerca. Per rimanere competitivi dobbiamo avere necessariamente le strutture e le persone adeguate, che – come in tutto il mondo – si finanziano attraverso bandi competitivi pubblici basati su peer-review.
Partiamo da un dato di fatto: la ricerca – in ogni campo da quello umanistico a quello tecnico-scientifico – è un motore di innovazione importantissimo, che può generare competitività economica enorme per il sistema paese. I risultati di una ricerca scientifica di qualità possono portare a nuove applicazioni pratiche cruciali al miglioramento delle condizioni di vita e alla formazione di nuovi mercati per imprese con conseguente effetto sull’occupazione e sulla qualità della vita delle persone. La ricerca non è un costo, ma un investimento e come tale va incentivato.
Nonostante ciò, la percezione media della popolazione italiana della ricerca non è del tutto positiva e ben compresa: se ne riconosce l’importanza generale, ma forse non si capisce il suo valore globale. Questo molte volte è legato a un problema di comunicazione del nostro lavoro e del nostro ruolo, che va colmato e che molte volte è stato frutto di errori. A questo livello, lei svolge sicuramente un’opera meritoria. Molte volte mi viene chiesto “cosa faccio” e a volte risulta difficile far capire che in qualità di professore universitario non fai solo lezioni ed esami, ma una parte molto rilevante del tuo lavoro è appunto “fare ricerca”. Questo vuol dire sviluppare un programma ricerca, gestire e lavorare con un gruppo di dottorandi e studenti in un programma di ricerca specifico. Il nostro lavoro oltre che a “sviluppare” idee, concetti o progetti scientifici forma anche persone (per esempio i dottorandi) che costituiscono un patrimonio fondamentale (non solo a livello accademico, ma anche e soprattutto a livello industriale) per il futuro del paese e dell’Europa, in una ottica fortemente transnazionale e internazionale. Il capitale umano formato nelle nostre università nella ricerca è notoriamente considerato di altissimo livello. Pertanto, non bisogna avere paura della internazionalizzazione, anzi va incoraggiata e armonizzata nel sistema, sia in entrata sia in uscita. La mobilità internazionale, specialmente a livello di dottorati e post-dottorati, dovrebbe essere fortemente incentivata in una prospettiva di rientro. In tutti i paese la mobilità internazionale nella ricerca è un fatto ed è molto comune che un ricercatore cambi paese per periodi più o meno lunghi. Un dottorando o un post-doc che svolge parte del suo lavoro in un laboratorio estero non è “un cervello in fuga”, ma è un “cervello che si arricchisce” e che potrà arricchire il suo paese a patto che abbia chiare possibilità di rientro nel sistema paese. Questo non solo da un punto di vista accademico, ma anche da un punto di vista industriale. Infatti, è chiaro che il tutto funziona se esiste un pareggio tra entrate e uscite e se chi esce è poi incoraggiato a rientrare (almeno in quanto riconosciuto come risorsa). Per quel che mi riguarda, le mie esperienze all’estero in USA e Germania durante il dottorato e il post-dottorato sono state fondamentali per poter acquisire competenze nuove e sviluppare nuovi programmi di ricerca, che ho potuto sviluppare e realizzare in modo indipendente grazie alla possibilità di rientro al Politecnico di Milano, che mi ha sempre fortemente incentivato in tutto questo. Tutto questo è stato fondamentale per la creazione della mia carriera scientifica indipendente ed è stato ampiamente riconosciuto e apprezzato nella valutazione del mio progetto ERC.