Il progetto europeo SOFCOM, finanziato con più di sei milioni di euro dalla Commissione Europea tramite agenzia FCH JU, ha come coordinatore il Politecnico di Torino e comprende partner accademici e aziendali in più di 10 paesi europei. L’idea che sta alla base del progetto, come spiega il coordinatore del progetto e docente del Politecnico di Torino Massimo Santarelli, è quella di “rendere produttivo dal punto di vista energetico un processo necessario, cioè la depurazione delle acque di scarico”. Lo scorso 27 Marzo SOFCOM è arrivato a conclusione ed è stato presentato pubblicamente da SMAT (Società Metropolitana Acque Torino) il dimostratore realizzato grazie al suddetto progetto. Abbiamo incontrato uno dei responsabili della parte di gestione e manutenzione dell’impianto, nonché tesista-tirocinante Massimo Salemi, il quale ci ha concesso una breve intervista per comprendere meglio i processi alla base del prototipo reso pubblico la settimana scorsa.
Buongiorno Dott. Salemi. Potrebbe descriverci brevemente come funziona il prototipo messo a punto dal progetto SOFCOM durante questi ultimi quattro anni?
Il dimostratore installato da SMAT è composto da due parti principali: nella prima si utilizza il biogas prodotto dall’impianto di trattamento delle acque per la generazione di energia elettrica ad alta efficienza (circa 53% elettrico), recupero di calore ad alta entalpia (calore disponibile a circa 400 °C) e nella seconda si utilizza la CO2 prodotta per la cultura delle micro-alghe tramite un fotobioreattore.
Tale impianto utilizza un sistema basato sulle SOFC e, quindi, necessita di un gas di alta qualità, il quale deve essere depurato da qualsiasi tipo di inquinante. Per questa ragione sono installati dei filtri per la rimozione di silossani e H2S a monte. Il biogas pulito viene quindi mixato con del vapore per il trattamento di reforming (al fine di avere le composizioni chimiche adatte) e mandato alla SOFC, la quale è in grado di generare una potenza elettrica di 1.9 kW. A questo punto inizia una fase di trattamento dei gas combusti (monossido di carbonio, idrogeno, acqua e CO2). Tramite un ossi-combustore si bruciano totalmente l’idrogeno e il monossido di carbonio, il gas residuo, invece, viene raffreddato e mandato ad un condensatore per la rimozione dell’acqua.
La CO2 pura ottenuta tramite la prima parte del processo è mandata alla seconda parte dell’impianto, il PBR (PhotoBioReactor), tecnologia ancora in fase di sviluppo ma presente già da diversi anni. Nel PBR entra l’acqua proveniente dall’uscita dell’impianto di depurazione; essa è ricca di nutrienti chimici ed è mixata con la CO2 prodotta precedentemente. Si tratta di un sistema chiuso a ricircolo continuo in configurazione tubulare dove l’acqua circola in tubazioni esposte al sole e all’interno delle quali si vengono a creare le condizioni chimico-fisiche ideali per la coltura delle micro-alghe.
I vantaggi finali di SOFCOM sono molti:
Di cosa si occupa nello specifico Lei all’interno del progetto?
Io sono arrivato nella parte conclusiva del progetto. Mi sto occupando, quindi, della fase di gestione ed analisi dati del PBR. In particolare partecipo in modo attivo alla gestione e alla manutenzione dell’impianto. Inoltre mi occupo dell’analisi dei dati ottenuti dalle analisi di laboratorio SMAT di campioni prelevati dall’impianto e dei dati ricavati tramite dei sensori e un sistema di elaborazione dati installato direttamente sul PBR.
Quali sono, secondo la Sua esperienza, le difficoltà maggiori che avete incontrato nell’implementazione del prototipo?
A questo progetto europeo, come ha giustamente detto lei, hanno partecipato diversi partner europei. Ogni parte dell’impianto è stata progettata e costruita singolarmente e, solo successivamente c’è la stata la fase di “assemblaggio”. Questo da una parte ha permesso di estendere la partecipazione a enti e aziende sparse in tutta Europa, ognuna delle quali ha potuto dare un contributo importante tramite le proprio competenze specifiche; tuttavia un impianto così costruito, oltre ad una limitata implementazione dei vari componenti, ha grosse difficoltà dovute al dover gestire diversi sistemi contemporaneamente. Non si tratta, insomma, di un impianto industriale “chiavi in mano” pronto ad entrare in funzione. Di conseguenza, capita di dover sostituire, ad esempio, elettrovalvole che possono danneggiarsi per le avversità climatiche, risolvere problemi di trasmissione dati dai sensori ai controlli remoti, ecc.
Quali potrebbero essere gli effetti in campo tecnologico energetico, ambientale ed economico se si riuscisse a rendere la suddetta tecnologia replicabile, scalabile e sostenibile economicamente?
Secondo me gli sviluppi futuri della prima parte dell’impianto sono più che rosei. Da un punto di vista economico questi sistemi iniziano ad essere competitivi per applicazioni di piccola-media taglia (confrontati, ad esempio, a sistemi di micro-CHP). Presentano il grosso vantaggio di avere bassissime emissioni, e, con le politiche di riduzione dei limiti di emissioni imposti dalle normative sempre più stringenti, avere impianti che lavorano in maniera pulita intrinsecamente rappresenta un vantaggio importante.
D’altra parte ho riscontrato personalmente che la tecnologia PBR non è ancora totalmente “sviluppata”. Del resto, in questo momento storico, la maggior parte dei test sono stati fatti in laboratorio e quindi in condizioni controllate, e sono andati nella direzione di dimostrarne la loro fattibilità tecnica. Tuttavia ho l’impressione che essa si svilupperà molto velocemente: in tutto il mondo, infatti, vengono fatte tantissime sperimentazioni su nuove configurazioni (ad esempio lavorando sulla geometria del PBR) atte ad ottimizzare e risolvere i vari problemi tecnici di gestione.
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