Le emissioni da biossido di carbonio sono un problema ambientale mondiale poiché, come è risaputo, sono la causa principale del cosiddetto riscaldamento globale. Per misurare la pericolosità dei vari gas serra, in termini di calore intrappolato in atmosfera, gli scienziati hanno quantificato un parametro: il GWP (Global Warming Potential). La CO2, pur essendo il gas serra meno pericoloso – avendo un GWP pari a 1 – ha un impatto ambientale importante in termini quantitativi: essa è responsabile, infatti, del 18% dell’effetto serra. Al secondo posto per importanza nelle statistiche internazionali (7% sul totale) c’è il metano, con un GWP pari a 30.
A quest’ultimo proposito è indispensabile sapere che una delle principali cause di emissione di CH4 sono gli allevamenti. Le deiezioni animali (bovine, suine, pollame, etc.), infatti, rilasciano ingenti quantità di metano in atmosfera. L’aumento della popolazione mondiale ha fatto sì che crescessero anche gli allevamenti intensivi come fonte primaria di cibo. Questo ha portato a un aumento delle emissioni di gas serra, e, quindi, a un impatto ambientale sempre più pesante. Con la stesura del Protocollo di Kyoto, nel 1997, e con i target europei del 20/20/20, l’attenzione della comunità mondiale si è sempre più spostata verso i temi ambientali correlati al riscaldamento globale. La comunità scientifica tutta, negli ultimi anni, ha studiato ed elaborato nuovi piani e nuovi strumenti per la riduzione delle emissioni di gas serra.
Come molte volte accade, la soluzione più semplice è anche la più funzionale. Molti studi sono stati effettuati riguardo la riduzione delle emissioni di metano attraverso lo stoccaggio al coperto del letame di allevamenti. In questo modo i gas risultanti dalle reazioni biochimiche delle deiezioni non vengono emessi in atmosfera e, inoltre, dopo un periodo di stazionamento all’interno di capannoni in condizioni controllate è possibile riutilizzare il suddetto letame sotto forma di compost, quindi fertilizzante biologico ad alto valore nutritivo.
Un ulteriore passo avanti è stato effettuato a partire dagli anni ’80, quando ingegneri e biotecnologi hanno avuto l’intuizione di utilizzare il gas emesso dalle deiezioni animali (biogas) per produrre energia termica (o elettrica) anziché usare il gas naturale (o GN). Così facendo, non solo è possibile azzerare le emissioni di CH4 dovute al letame tenuto all’aperto, bensì è possibile (nel caso in cui il reattore di produzione di biogas sia energeticamente autosufficiente) ridurre le emissioni di gas serra fino a “un valore negativo”: le emissioni di anidride carbonica dovute alla produzione di energia termica tramite GN non sono più presenti e inoltre la stessa quantità di energia sarà prodotta tramite uno scarto, anch’esso, in precedenza, fonte di inquinamento.
Per avere un’idea chiara di cosa si sta parlando, secondo uno studio da me stesso effettuato: una vacca da latte produce annualmente circa 2800 kg di CO2 – pari alle emissioni di anidride carbonica di un’auto di media cilindrata che percorre 20000 km. Nel caso il letame, invece, venga processato e l’impianto sia autosufficiente dal punto di vista energetico (cioè il caso in cui l’energia prodotta dal biogas venga usata in toto all’interno dell’impianto stesso) le emissioni rispettive si abbassano di quasi 10 volte arrivando a valori di circa 300 kg di CO2 per anno e per singola unità di allevamento. Quest’ultimo dipende per lo più dal biossido di carbonio che non reagisce nella combustione del biogas e dai prodotti di combustione del metano presente nel biogas stesso.
Fonte: Estimations on energy use, CO2 emissions-reduction and added value in a Norwegian farm small-scale biogas plant – Lorenzo Rubino – MSc Thesis
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