Col termine Biochar (neologismo) si indica il carbone di legna – infatti deriva dall’unione del prefisso bio, che significa ‘vita’ dal greco bios, e da char, parte iniziale del termine inglese charcoal (carbone di legna o carbonella) – ed in particolar modo si intende il carbone di legna ottenuto dalla pirolisi della biomassa.
La pirolisi, così come la gassificazione, sono i sistemi industriali moderni per la produzione di bioenergia. Essi consistono nel riscaldamento di vari tipi di biomassa, in condizioni controllate, per produrre gas combustibile di sintesi (o syngas) e oli combustibili (o bio-oli). Entrambi i prodotti possono essere bruciati per produrre calore, potenza o una combinazione delle due. Il terzo dei prodotti combustibili della pirolisi è un solido ricco di carbonio residuo, il biochar appunto. Dapprima considerato uno scarto industriale, negli ultimi anni, l’interesse verso questo materiale è cresciuto enormemente data la sua capacità di migliorare le caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche e meccaniche del terreno, se usato come ammendante. La sua applicazione ai suoli viene praticata al fine di raggiungere due principali obiettivi: aumentare la fertilità del terreno e contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso il ‘sequestro’ di carbonio nei suoli.
Il principale metodo di produzione del biochar è la pirolisi, come detto in principio, ovvero la combustione di biomassa in condizioni di assenza o presenza limitata di ossigeno. Il processo di pirolisi può avere diversi fini e può essere classificato in base ai suoi parametri operativi, quali temperatura massima raggiunta e tempo di residenza. Si distingue, infatti, la pirolisi lenta che porta a produzione di syngas o biochar; la pirolisi veloce che porta alla formazione di una maggiore proporzione di bio-oli a discapito della produzione di biochar.
Infine, la gassificazione è un processo durante il quale la biomassa raggiunge temperature molto elevate (1200°C), talvolta anche ad elevate pressioni (15-50 bar). In queste condizioni, il materiale carbonioso viene convertito in gas, principalmente composto da monossido di carbonio (CO) ed idrogeno (H2). Questo gas può essere utilizzato per la generazione di energia elettrica tramite turbine a gas o vapore. Tramite questi processi bioenergetici, il materiale organico, compresi gli scarti vegetali ed i rifiuti urbani, potrebbe essere convertito in biochar, bio-oli e gas combustibile. L’utilizzo di queste tecniche ‘verdi’ potrebbe essere considerata una valida alternativa alla combustione o alla discarica dei rifiuti, dato che ne consentirebbe lo smaltimento convertendoli in energia pulita.
Dopo una breve e sintetica spiegazione tecnica di cosa sia il biochar e di come venga prodotto, cerchiamo di capire perché è in grado di ‘catturare’ CO2. In generale, ogni forma di materia organica immessa nei suoli viene velocemente degradata risultando in emissioni di diossido di carbonio, noto gas ad effetto serra. Trasformare la materia organica in una forma altamente stabile, quindi più difficilmente degradabile, potrebbe contribuire a ridurre queste emissioni. In effetti, il biochar risulta avere grande stabilità e resistenza alla decomposizione chimica e biologica, ed è per questo considerato capace di sequestrare quantità di CO2 se applicato ai suoli. Il biochar deve la sua stabilità chimica, fisica e microbiologica alla sua composizione chimica, che risulta scarsamente degradabile. Esso infatti una volta immesso nel terreno, costituisce una riserva di carbonio per centinaia se non migliaia di anni, riducendone le emissioni in atmosfera.
Tuttavia non è tutto oro quel che luccica, pertanto descriverò in breve anche gli aspetti meno convincenti: il biochar è adatto per il miglioramento del terreno solo quando viene prodotto sotto le giuste condizioni; i suoi effetti sulla produttività delle colture sono molto variabili e dipendono dalla tipologia di biomassa di partenza – preferibili sono i materiali legnosi, quali noccioli di olive e gusci di noce.
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